11.12.12

A casa

Ehi Pip.
Ti sarai accort* del cambiamento, immagino. Com'è come non è, perfino l'idraulico che ti dice che ha finito il bagno notte e invece ti accorgi che se svuoti la vasca ti piove in cucina, ecco, perfino questo non sembra così terribile come se me l'avessero scritto via sms mentre stavo a 400 km da qui. Meno male che il piastrellista è un po' più accorto e, snocciolando improperi all'indirizzo dell'incauto collega, ha rappezzato col suo sigillante magicissimo.
Adesso il difficile è decidere da dove cominciare. Ci sono tante cose da fare in questa casa, e ancora di più da pulire, che corro il rischio di portarti a spasso a caso da una stanza all'altra dimenticando qualcosa che era da fare prima. La spesa, per esempio.
Forse non serve pensare troppo. Basta fare una lista delle persone da chiamare e dei posti dove andare, e nei buchi tra una chiamata e un'uscita scegliere un'estremità della casa e venire avanti, in sella all'aspirapolvere e al mocio. Per la gioia della Gatta, che si ostina a cacciare il mocio, e mia che ho la conferma che il pavimento scelto nasconde le sue zampettate umide ;)
Di tempo ne ho. La superfantastica ditta localizzata nella cantina del Mago di Oz, location che mi aveva dato qualche dubbio sulla professionalità globale, mi ha lasciato a casa. Peccato, perchè il signore coi capelli rossi e pazzi e la felpa di pile sdrucita mi aveva buttato qualche bon bon che mi aveva fatto venire l'acquolina (LCA, bioenergie, biomateriali...). Peccato, perchè ci avevo creduto, perchè giurerei che il colloquio era andato meglio che agli altri. Peccato soprattutto perchè mi hanno dato l'impressione di aver scelto l'uovo oggi e io speravo che, se non per questo stage, si potesse collaborare per altre cose, ma se non sono seri forse non si potrà. E' andata che: "Scusi, buongiorno, sono sempre io. E' passato altro tempo. Avete poi scelto questo stagista?" "Ehm sì. In effetti dovrei mandare una comunicazione ufficiale. Abbiamo preso la persona che abitava più vicino, così ha meno difficoltà a prendersi un appartamento". Prego? Se abita vicino a cosa le serve un appartamento? Non abitate mica in Lapponia, io e - scommetto - tutti gli altri non avevamo bisogno di cambiare casa per venire da voi. E poi chi potrebbe prendersi un affitto, per fare uno stage pagato 4.80 euro l'ora che ti vengono erogati al 70% del monte ore pattuito? Dì piuttosto che hai scelto una persona già disoccupata al momento dell'annuncio, a differenza di me, così questi 4.80 euro te li passa la regione. E come la manterrai questa persona dopo lo stage, quando presumibilmente dovrai pagarla di più? E perchè non hai chiesto i contributi INPS per avviare un contratto decente? Mistero. Avranno senz'altro i loro motivi che io non posso conoscere; so però che la comunicazione ufficiale non è mai arrivata. E che io speravo di vedere cosa si poteva imparare in quella cantina di Oz.
Sai che c'è, Pip? C'è che questo colloquio iniziato bene e finito male mi ha comunque restituito un po' dell'autostima persa nell'ultimo anno e mezzo in cui mi hanno tenuta a girare la macina di pietra. E meno male che ogni tanto arrivava qualcuno da fuori, guardava per un po', e poi mi diceva: "Ma qui è sempre così? No perchè è da pazzi" e io mi rassicuravo sulla mia, di salute mentale. E allora va bene così, io e te passeremo del tempo insieme, il tuo primo tempo, che è prezioso. La pancetta si vede già e non credo proprio che avrò altre offerte per parecchi mesi. Godiamoceli allora. Magari vediamo se non c'è un corso che posso fare per imparare qualcosa che magari va un po' più di moda della green economy per ladies, per esempio fare la segretaria o l'impiegata contabile. Ho pur sempre fatto lo scientifico e io e excel facciamo colazione insieme ogni mattina; e per i corsi non importa se hai la pancia, tanto sei tu che paghi. E adesso andiamo a fare una torta con tutto quello yogurt che scade e poi andiamo a cercare il falegname e a parlare con la vetreria e a fare la spesa; e poi se facciamo in tempo torniamo a casa a pulire... ma credo che puliremo domani. E va bene lo stesso, tanto non finiremo mica in un giorno, cosa credi?
Un bacino.

7.11.12

Beira

Beira significa "riva", na beira do mar è sulla riva del mare - se ho capito bene. E' un porto, infatti, con una lunghissima spiaggia di sabbia dorata e sottile... vuota, perchè dalla gente del posto è usata come posto su cui stai in piedi mentre pieghi le reti da pesca, o su cui ti siedi mentre secchi i pesciolini al sole, o come cacatoio pubblico data la comodità dello scavare buchi; solo tra un'attività e l'altra ci si concede del riposo come fa chi è in vacanza (che piante sono queste? che mollusco era questo che ha lasciato questo guscio? che pesci pescano? perchè perfino gli uccelli bianchi e neri stanno separati?), e i bambini giocano. Turisti non ce ne sono, con buona pace del Club con piscina che se ne sta a un certo punto della spiaggia e accoglie solo i pochi abitanti benestanti - in parte bianchi. Quindi ti puoi godere la vista di Lignano Sabbiadoro com'era, tranne forse per gli scheletri di navi arenate (come sono finite qui?!). Avremo modo di camminare spesso lungo la spiaggia, usandola al posto della strada soprattutto per andare e venire dall'orfanotrofio... perchè vedere il mare ci consolerà in quelle occasioni.

Click per ingrandire. L'argenteo della foto in basso a sinistra sono pesci a seccare.
E questo, in cui il sole la sera tramonta a velocità vertiginosa, tanto che se devi cercare la macchinetta non hai neanche il tempo di scattare la foto, è l'Oceano Indiano. A pensare che stiamo respirando quest'aria, che per me sa di storia e di navigatori e di esploratori e di Marco Polo e di Sandokan e di tutto tranne che del posto in cui ti svegli la mattina perchè ci abiti, come capita alla gente di qui... a me fa emozione.

A dire il vero però il nostro giro turistico è iniziato dal centro città, che è meno poetico. O forse lo era soprattutto verso sera, con poca gente in giro, e per me che ero di certo poco capace di leggere quello che vedevo. Vedevo brutti edifici in buona parte abbandonati e occupati da persone che trovavano utili un tetto e delle mura di cemento, immagino soprattutto nella stagione piovosa, nonostante non fossero dotati - nè dotabili - di servizi come l'acqua e la corrente elettrica. L'esempio per eccellenza è il Grande Hotel, abitatissimo pur se in queste condizioni. E se, da noi, in tempo zero spunterebbero collegamenti abusivi alla rete elettrica, in un posto in cui l'elettricità è scarsa non è facile nemmeno rubarla, quindi la sera l'hotel non è illuminato. Di che anni sono questi edifici? Dagli anni '60 sono iniziate le ribellioni che hanno portato alla guerra d'indipendenza, quindi devono essere precedenti... l'hotel è degli anni 50. Perchè in Europa si costruivano edifici eleganti e qui i portoghesi hanno fatto questi orrori? O sono edifici più recenti e già diroccati? L'hotel era considerato una meraviglia, prima del saccheggio. Il resto della città... meriterebbe qualche ricerca di vecchie immagini per capire.
I soldi per sistemarli non ci devono essere, perchè dove ci sono gli effetti si vedono: se vedi un palazzone restaurato, è una banca. E che dire del "monumento alla Coca-Cola", una bottiglia di cemento dalla forma inconfondibile che troneggia dall'alto di un'aiuola al centro di una rotatoria: rotatoria che la Coca-Cola ha generosamente offerto al Comune... Ci sono anche condomini abitati in modo regolare, da gente che paga l'affitto, naturalmente; come ci sono negozi, viali alberati e giardinetti mangiati dal sale, quel che c'è in una città di mare qualsiasi. Solo, qui ci sono anche questi mostri, e in generale niente è stato costruito per essere bello. Inconcepibile. Ho capito i portoghesi tirchi, ma... Chissà se Maputo, la capitale, è meglio? Chiariamoci... non ho la mania dell'architettura. Ma il confronto con tutti i posti che ho conosciuto stride a tal punto che non posso non chiedermi quale fosse lo spirito con cui i coloni si erano installati qui; l'impressione sfocata trasmessa dai palazzoni è quella del puro utilitarismo, senza nessuno sforzo di portare qualcosa di sè e senza piani di lunga durata. Pare che questa fosse la cenerentola delle colonie portoghesi, la stella era il Brasile: era là che andavano i soldi, qui la gestione era affidata a una compagnia privata! Ma dovrei studiare un po' più di storia.
Quello che non so ancora, in questa mia prima sera di respiri avidi di oceano e di sguardi spauriti sui palazzoni bui, è che - per fortuna - la mattina dopo ritroverò l'atmosfera affollata e viva intravista di sfuggita alla festa in piazza (era la festa della donna, ora che ho ricostruito!); e che quella folla sarà così onnipresente e compenetrata a tutto, per tutto il mese, che mi farà decidere che quella è Beira. Se potessi entrare all'hotel e conoscerne gli abitanti, credo che li troverei uguali a quelli che incontreremo fuori, nelle baracche: altrettanto vivi, e sconvolgenti per questo.

5.11.12

Tutto quello che non vi hanno mai detto che vi potrebbe succedere, e che invece succederà proprio in quel momento

Primo colloquio: sabato mattina
Ho passato il venerdì mattina  a leggere le infallibili istruzioni online sulle domande a cui prepararsi e su come vestirsi. Dipoi, aspettandomi un ambiente di ingegneri camiciacravattati, il venerdì pomeriggio sono corsa al centro commerciale a cercare scarpe e vestiti sufficientemente professionali: in laboratorio NON ci si mettono vestiti decenti... almeno, non dopo che i tuoi pantaloni preferiti hanno ricevuto il loro primo set di buchi da sostanza corrosiva del momento. E poi, non ci sono fighetti nei laboratori. Tende a essere un ambiente piuttosto alternativo, quindi mi serviva una cosa professionale ma non troppo, che se no sembro imbacchettata... ma a parte un paio di stivali antipioggia fantastici, l'unico risultato che ho ottenuto è che a un certo punto l'hanno avuta vinta gli ormoni, mi sono appoggiata sfinita e piangente faccia al muro per salvare almeno la dignità, e ho deciso di tornare a casa a far riposare la pancia e la testa, e al diavolo quel che mi sarei messa. Quella sera ho trovato le foto dei componenti dell'azienda, nascoste nella versione inglese del sito: manco l'ombra di una camicia. Benissimo.
Certo non potevo immaginare che la mattina avrei scoperto che il ferro da stiro non funzionava più. Strano, era appena dell'epoca delle guerre puniche e l'avevo solo fatto accidentalmente cadere durante la notte cercando a tentoni la strada per il bagno. E con ciò? Mi ero fatta male anch'io, ingrata ferraglia, non so come mi sono trattenuta dal lanciarti in cortile. Quindi, con i pantaloni stirati in stile "notte brava", imploro il Nonaddetto di scortarmi fino in loco con la sua auto, perchè sono già sfinita di prima mattina e capace che mi perdo, e di andare poi a fare la spesa già che c'è. Tre curve prima del mio traguardo, l'auto del Nonaddetto - le cui gomme sono poi risultate risalenti alle campagne napoleoniche - decide di cedere all'asfalto bagnato, taglia dritta una curva e si schianta sull'aiuola. Lui non si fa niente (grazie angeli custodi di tutti i tempi, che se gli succedeva in un punto in cui non era ai 40 all'ora poteva essere diverso), ma la gomma incastrata nella carrozzeria fa sì che l'auto non curvi più neanche invocando tutti i santi del paradiso e ciò rende arduo il posizionamento dell'automezzo fuori dalle palle mentre si cerca un carroattrezzi. Mentre io me ne sto sotto la pioggia con i  miei pantaloni stirati benissimo, il Nonaddetto riesce infine a portare l'auto sul ciglio della strada evitando al contempo il fosso. In un nanosecondo, il suddetto ciglio della strada viene rimosso e lanciato dalle gomme della sua auto ricadendo graziosamente a pioggia in un raggio di tre metri dietro di lui. La mia auto era dietro la sua. Era bianca. Prima. Si metamorfosa in versione dalmata in un amen, mentre io con un balzo felino mi levo di lì e riesco a salvare tutto, tranne la metà inferiore di una gamba che assume l'aspetto di una tuta mimetica militare. Con le lacrime agli occhi guardo la sua auto in panne, la mia in stile carica dei 101 dopo un rally per sfuggire a Crudelia, e il mio pantalone non stirato e mimetico. E che potevo fare? Scommetto che "Salve, le presento mio marito, non faccia caso alla terra, per caso c'è un'officina qui in zona?" era un modo per rompere il ghiaccio all'inizio di un colloquio a cui non avevate mai pensato.
In ogni caso, la media del vestiario lì dentro era sorprendentemente simile a quello che i Nonaddetti utilizzano per i lavori pesanti nella casa-cantiere. Un paio di t-shirt sovrapposte e una felpa di pile on top era il massimo dell'eleganza ritracciabile. L'ambiente era sovraccarico di enormi quadri inquietanti realizzati dalla titolare su qualsiasi superficie disponibile, dalle tele ai mobili alle pareti del cubicolo-bagno. La titolare stessa sfoggiava un'originale acconciatura con metà capelli bianchi e metà rosso fuoco - la metà inferiore della lunghezza, per la precisione - e mi ha accolta con un "Com'è il suo inglese? No perchè tutti hanno scritto buono, ma non era vero".
Il colloquio è servito solo a prendere un appuntamento per un secondo colloquio, finalizzato a un test scritto di inglese e a un paio di prove sulle competenze specifiche. La Nonaddetta ha sospeso il giudizio sull'ambiente ma ha accettato senza pensarci un momento di affrontare le prove, naturalmente.

Martedì: le Prove

Il primo signore è quello con cui ho parlato al telefono e che mi ha accolto sabato. E' talmente gentile che se respiri troppo vistosamente smette di parlare pensando che tu voglia dire qualcosa. Lui mi mostra il pc su cui dovrò scrivere i miei elaborati.
Li scrivo. Non sono particolarmente soddisfatta, ho tradotto due sole pagine su 4 nel tempo concessomi e so di aver dimenticato delle sviste - maledizione al correttore automatico di word - e la mia risposta alla loro domanda specifica mi sembra vaga e contiene ripetizioni.
Il secondo signore ha i capelli rosso fuoco - ma mi sembrano naturali. Perchè mai dovrebbe tingersi così? - e una felpa di pile multicolore. E' molto deciso, mi da' del tu a differenza degli altri e parla con voce stentorea. "Finalmente qualcuno che scrive!" esclama dopo aver letto la mia rispostina. Ma chi gli è capitato, prima di me? Tanto meglio. Parliamo di quello che ho scritto. E' molto manicheo nelle sue opinioni ma ne sa, e a me si accendono gli occhi perchè mi interessa, voglio impararlo il LCA, voglio sapere se vale o no la pena di fare certi impianti e usare certi processi, e mi stupisce e mi interessa scoprire che certi prodotti di cui sentivo parlare come oggetti di ricerca in realtà si trovano già sul mercato. Lui ripete alcune volte "Vedi che tu lo sai! Meno male che queste cose ve le insegnano!".
Prima di andarmene faccio presente che naturalmente scelgano il candidato migliore, ma se fossero interessati a me ma la work experience non si potesse fare, perchè non sono disoccupata, per l'amor del cielo non facciamoci fermare da certe bazzecole, ci sono altri incentivi che si possono chiedere. Il signore gentile sembra impressionato che io abbia cercato queste informazioni.
Esco con la sensazione di aver fatto tutto quel che potevo - solo la pecca, uscendo, di essermi fatta coinvolgere nella critica ai centri per l'impiego e certi aspetti delle università. Non criticare, non criticare, dicevano sui siti delle interinali... ah. Andrà come deve.
Non mi hanno ancora scritto, però. Aspetterò ancora uno o due giorni e poi li ricontatterò, se non si fanno vivi... Mi fa piacere sapere che ci sono. Non li conoscevo. Dunque potrebbero esserci altre realtà interessanti che non conosco. C'è speranza. Ma adesso ho trovato questi e prima di mollarli devono sbattermi la porta in faccia.
E intanto mi chiedo... ma cosa devo sperare? Perchè tu, Ranocchietto, come ti potrei gestire? Come potrei lasciarti ad altre persone pochissimo dopo che sarai nato? Riusciresti a sentirti amato, tu, o ti sentiresti abbandonato? Non lo so come saremo, non lo so cosa decideremo. Ti abbiamo rivisto, con la seconda eco. Come cresci. Pian pianino anche noi capiamo cosa ci sta succedendo. Vederti muovere... davvero capita a noi? Davvero tu sei... con noi? Quando ti penso mi chiedo chi sei, che carattere avrai, quanto dipenderà da noi, come ti chiamerai, ma quando ti guardavamo non mi chiedevo proprio niente. Eri tu, e basta.
Ci servono molte, molte più attenzioni e discussioni e mezzi e soluzioni perchè genitori e bimbi possano vivere senza soffrire per il lavoro!

22.10.12

Letterina

Ehi, Pip.
Mi senti?
Vorrei sapere come stai.
Sei anche tu perennemente desideroso di un'isoletta caraibica con sabbia morbida su cui spaparanzarsi, o almeno di un divano e di un po' di tempo per chiudere gli occhi e sognarla?
Ti inalberi anche tu come un don Chisciotte, come me, però tutto dentro e in silenzio per non disturbare, davanti alle porcospinerie di Femminuccia, che mi fa detestare questa povera Foresteria?
E' stato tutto un po' un delirio, da quando ci siamo accorti di te, ma pare che tu lo abbia completamente e bellamente ignorato, nel tuo nido. Hai fatto benissimo. Adesso impariamo anche noi. Io, soprattutto.
E' strano, come cambiano le cose.
Dopotutto mi avrebbero rinnovato il contratto. Senza prospettive quanto prima, ma con uno stipendio per qualche altro mese. A dire il vero, uno stipendio che si sarebbe ridotto in caso arrivasse il Godot del trasferimento da Nebbialand alla Grande Città, ma insomma. Tanto ho detto di no.
No, capisci? No a un posto di lavoro, di questi tempi. Irresponsabile.
E però. Basta, vivere come un operaio cinese. Ho deciso che di badanti c'è gran richiesta e avrei saltato nel buio e cercato qualcosa vicino al Nonaddetto e alla casa e alla gatta, con i familiari e gli amici nei weekend e forse perfino durante la settimana! Lusso sfrenato, insomma! Il Professore si è fatto vedere e sentire più nelle ultime 3 settimane che in tutto l'anno e mezzo precedente. Non è nel mio stile, ma avrei dovuto minacciare le dimissioni prima.
Subito dopo ci siamo accorti di te.
Ero preoccupatissima per alcuni... dettagli... tipo aver raccattato i 4 gattini semirandagi dal cortile, averli spulciati tutti, e poi aver tenuto i 2 ancora in attesa di adozione chiusi in bagno per settimane, dietro l'unica porta interna che abbiamo, per scongiurare il suicidio della nostra poco socievole gatta. No, hai presente tutte le pare che ti fanno sulla toxo? Mi ci vedi a dire all'ostetrica e al ginecologo io ci ho due gatti randagi e la loro lettiera in bagno e non so dove appendere l'accappatoio per farmi la doccia senza che ci siano zampate di gatto o proprio gatti interi sopra? Irresponsabile. Ma non sapevo di essere... Come, non ha pianificato? Ir-re-spon-sa-bi-le. E pensare che sono così grata che non abbiamo dovuto pianificare!
Invece nel Piccolo Ospedale sono tutti così gentili e disponibili che ti viene il dubbio che in busta paga gli passino anche qualche polverina rilassante per il mese successivo. Ci hanno trattati con i guanti, che ne dici?
Ma non mi bastava, io dovevo tantissimo parlarne, capire, sentire. Tè allo Zafferano era l'unica amica che mi sembrasse abbastanza gioiosamente rassicurante, in questo momento; non chiedermi perchè, non è mica bimbomunita. Ma ha scelto proprio questo periodo per tornare a casa per un paio di mesi, e per motivi impossibili da spiegarti le comunicazioni con l'Iran sono disturbate per cui non vede le mie mail. Io avrei parlato con la mia mamma e il mio papà, ma i maschi che hanno saputo subito di te - l'imperturbabile Nonaddetto, che poi sarebbe il tuo papà e si è commosso perfino lui - e il Fratello - come pesce guida all'interno del dedalo ospedaliero; e un pesce guida piuttosto euforico della notizia, va detto - sono maschi, appunto, e mi avevano convinta a non dire niente ai tuoi nonni finchè non fosse un po' sicuro... un po' quanto? Eh, vediamo che gli esami del sangue siano a posto, e poi la prima ecografia. Ma come faccio io a tenermi questa cosa dentro in silenzio per un mese? Ma come in silenzio, puoi parlare con noi. Ma voi, cioè, non per essere scortese... siete un po'... non proprio adatti a lunghe conversazioni emotive... mettiamola così: sarà che non avete mai avuto bambini, ma non siete rassicuranti manco penniente! Pip, ascoltami a me: Pipo o Pipa che tu sia, non ascoltare consigli di silenzio e parla con chi l'istinto ti dice che ti aiuterà. Ti eviti tante paure inutili.
Subito dopo mi hanno chiamato per un colloquio di lavoro. Avrei riso, se mi avessero letto un oroscopo così: "Appena scoprirai di trovarti nella situazione che il 90% dei datori di lavoro esecra, troverai un annuncio di una ditta che pare (tanto gentile e tanto onesta PARE, poi vediamo) molto interessante, tanto che non avresti mai osato sperare ne esistesse una così in un raggio di mezz'ora da casa tua. Vuole una specie di stagista - non si può avere proprio tutto e subito - per scrivere progetti di ricerca agroindustriali e agroambientali in inglese. Manderai un CV senza perderci 18 ore a prepararlo per la prima volta in vita tua, e ti chiameranno subito per un colloquio". Ssè. Ssè? ... davvero?! Intendiamoci, Pip, è solo un colloquio. Però ci ho sgamato un interesse speciale, nella voce gentile dall'altra parte del filo. Pip, la mia nonna diceva "Ogni bambino arriva col suo cestino". Se nel tuo ci fosse la possibilità di un lavoro come si deve, la taumaturgia ha una nuova stella. Se no ne cercheremo altri, ma intanto prepariamoci per questo. Soprattutto, a come convincermi che in caso di reale interesse da parte loro non è disonesto omettere il dettaglio che mi crescerà la pancia.
E adesso i nonni e la Sorella sanno che ci sei e sono tutti a pensarti. Hai sentito come sono stati commossi e contenti? Hai sentito tutte le feste che ci hanno fatto? Hai sentito che non si sono preoccupati proprio di niente, loro, e magari averci parlato qualche settimana fa era davvero rilassante?
Adesso bisogna dirlo ai nonni all'estero, e trovare un modo carino dato che è difficile andarli a trovare per il weekend. Magari possiamo chiedere all'altro Fratello di organizzare una skypata, dici?
Ti stai rilassando un pochino, o eri già in pieno relax, tu? Sappi che il relax è la cosa giusta per te.
Ehi, Pip.
Benvenuto.


10.10.12

Una Quadra Festiva e tante domande

All'aeroporto io e la M abbiamo scoperto che avremmo avuto altre due compagne di viaggio: A e D. Loro sarebbero dovute andare a Gondòla, ma una delle suore di quella casa era improvvisamente stata male ed erano state dirottate a Beira con noi: in pratica saltavano da un'esperienza in un villaggio rurale a quella di una grossa città, con 600mila anime ammassate sulla costa dell'oceano indiano, proprio nel mezzo del paese, un porto e un crocevia, in posizione quindi perfetta per la diffusione dell'aids. Un sieropositivo su tre. Io no, tu no, quindi  egli sì. Glomm.
Ma per ora noi siamo troppo prese dalle novità per pensare a queste cose che pur ci hanno detto. Noi quattro da conoscere - e  mai gruppo fu meglio combinato; ci guadagniamo presto il nomignolo di Quadra Festiva - le suore, il pickup e la possibilità inaudita di farsi scarrozzare nel cassone - ma quale cintura di sicurezza?! - la casa con tutte le inferriate anche al piano superiore - oh ma se c'è un incendio come si scappa da qui dentro?...
Qualsiasi cosa io veda mi sembra diversa e da capire, c'è gente che cammina, sì lo vedo che è gente che cammina, ma chi sono e dove vanno? Inizio immediatamente a sperimentare la sensazione frustrante che non mi abbandonerà fino all'ultimo giorno: di avere mille domande e provare a farne qualcuna e di non ricevere quasi mai risposte, perchè le domande sembrano ovvie e non c'è tempo per loro. Eppure io so che non sto capendo come vorrei.

In casa siamo sistemate di lusso, camere doppie, bagno unico ma possibilità di doccia (veloce, che la cisterna sul tetto si svuota in fretta e la pompa ci mette tanto a riempirla), cucina fantastica della suora cuoca con conseguenti sensi di colpa miei, clima festoso e accogliente. Le suore sono Orsoline, confesso che manco sapevo che esistessero prima di venire qui, non portano il velo e sono piene di grinta. 
E il giorno dopo finalmente usciamo. Due passi di numero e siamo già circondate. Oh che pubblico, e non sappiamo spiccicare quasi una parola di portoghese... io sono in imbarazzo, cosa dico a questi bambini? Sono ospite nel loro paese, cortesia chiederebbe di presentarsi. Ma la suora che ci guida li sistema chiedendo di darci una dimostrazione pratica della ginnastica che serve a stare in forma. Op, op, su e giù dal muretto! E a me partono le domande a cui potrò rispondere solo in parte nel corso del mese.

Chi sono questi bambini? (bambini, ce ne sono dappertutto)
Dove abitano? (probabilmente nei bairri dei dintorni, i quartieri baraccopoli, non nelle case in muratura di queste vie)
Come sono arrivati qui? (mah, dubito abbiano i soldi per il minibus, avranno camminato)
Non vanno a scuola? (sì, ma ci sono troppi alunni per insegnanti e aule, quindi fanno i turni, il loro turno sarà al pomeriggio o la sera)
Cosa volevano da noi? (sono curiosi, diamo un tantino nell'occhio)
Siamo state scortesi ad andarcene così? (sì, un po' sì, ma pare che non ci sia energia per tutto e i bambini di tutto il mondo e la nostra suora hanno dovuto impararlo)

Saltiamo sul pickup e andiamo a fare un giro turistico in centro. Siamo fortunate perchè è una festa nazionale e ci sono manifestazioni. Cerchiamo di avvicinarci, ci sorbiamo un pezzo di discorso uffciale, ci sono i soldati, cerchiamo di vedere le danze tradizionali.
Chi sono queste persone? (persone, probabilmente anche loro abitano nei bairri. Oggi però hanno lasciato le loro occupazioni quotidiane e sono venute a festeggiare)
Questi sono vestiti della festa o costumi particolari per certi balli? (probabilmente vestiti della festa)
I bambini ballano sempre così? (qui ballare non è confinato al sabato sera)
Come sembrano felici... come moltissimi sono belli, che lineamenti regolari... (SONO felici, in questo esatto momento è festa e tutto il resto non esiste)

Perchè blogger non mi piazza le immagini affiancate, cheppalle?! Questa è senza risposta.
I migliori sono i piccoli spettatori. Mi sa che le TV sono ancora poche. Loro in compenso sono tan-tis-si-mi. Mai visti tanti bambini insieme da un pezzo, e tantomeno così assorti!

Ci sentiamo immediatamente individuabili e non sappiamo come gli altri ci vedano.
Cosa pensano di noi? (toh, qualche altro bianco che viene, non fa niente e se ne va)
Quello che non sappiamo è che quando ce ne andremo e torneremo in aeroporto proveremo la straniante sensazione di avere troppa gente bianca intorno: dove sono gli altri, perchè adesso quel che prima era normale ci sembra strano, dove sono quelli con cui stavamo fino a ieri, perchè non possiamo stare tutti insieme?
(continua)


3.10.12

E poi ci sono giorni meravigliosi

Per esempio quelli in cui ti danno il risultato di certe analisi e pare - scaramanticamente lasciamo la conferma alla visita - che tu e qualcuno a cui terresti molto, se avessi il coraggio di crederci, siete un po' al limite, ma ancora nel range che dice che va bene, e alcuni dei mostri possibili non sembrano essersi accorti di voi. E allora ti cade davvero un peso grosso dalle spalle, e ti senti benissimo e vorresti offrire il caffè a tutto l'edificio. E non ti importa più della paura che ti avevano urlato nelle orecchie e nel cuore e che ti aveva lasciato in trance per un piccolo ma interminabile periodo, non ti importa un bel niente perchè adesso è passata, e se altre devono venire verranno ma per oggi è festa ed è leggerezza e luce.

2.10.12

La mia briciola di Mozambico - partite!

E' ancora ieri, oggi. Sono passati 6 anni, ma questo viaggio è ancora così presente nella mia mente che se rileggo le pagine di diario che ho scritto allora ritrovo le stesse cose che ricordo e penso ora. Io, che non mi ricordo neanche cosa ho mangiato ieri sera.

Agosto 2006. Un mese in Mozambico.
Elasti ha dato il la alla "rubrica" che avevo in mente da un po'. Racconto il mio viaggio. Ci provo, almeno, anche se arriverà solo un'eco...

Poco prima che io partissi, il Nonaddetto mi ha chiesto perchè ci andavo. Ci eravamo conosciuti da poco e anche se parlavamo di tutto questa motivazione gli sfuggiva.
"Per stare con la gente di là", ho risposto. Non avevo un lavoro preciso da svolgere, era un viaggio di conoscenza e quindi questa era l'unica cosa da fare che fosse piuttosto certa. Lui era piuttosto perplesso, io mai così convinta di qualcosa. Un viaggio "per mettere la testa fuori dall'acqua" e vedere se dopotutto il mondo che conoscevo era effettivamente una particolarità persa in qualcosa di molto più diffuso e molto meno facile, e come avrei reagito io a trovarmici in mezzo. E se dopotutto la gente era gente dappertutto e saremmo riusciti a comunicare nonostante io vivessi nella boccia dei pesci e loro fuori. Qualcosa che avevo davvero voluto da quando ero piccola, con la testa infarcita di racconti sentiti, e che stava diventando vero.

Ho fatto un corso di preparazione che è servito più che altro a caricare di entusiasmo, come molle, un centinaio di ragazzi che stavano per spargersi a piccoli gruppi in tutti gli angoli del mondo, in tutti i continenti dove ci siano posti con molta gente e pochi soldi. Alcuni dopo le scenate dei genitori, assolutamente contrari.
Una fila di vaccinazioni. La scorta di farmaci, gli antibiotici, antidiarroici, antimalarici. I pantaloni lunghi e le magliette a maniche lunghe, per la sera almeno, tutto chiaro contro le zanzare. Il piccolo dizionario di portoghese, quasi inutile, e il corso accelerato della mia coinquilina brasiliana, per poi scoprire com'è diversa la pronuncia.
E poi io e la M siamo partite. Non ci conoscevamo prima ma il caso ha scelto bene per noi.
Ah, la sensazione di salutare le famiglie e salire in treno, e guardarsi e dirsi: ma stiamo andando in Africa! E in Mozambico, destinazione scelta per noi - potevamo indicare solo il continente - e che ci aveva fatto rispolverare in fretta le cartine. Dove sta? Ah, di fronte al Madagascar. E Beira? Sta proprio nel mezzo ed è la seconda città e ci stanno la bellezza di 600mila persone.
L'emozione di vedere quell'aereo!
L'emozione di seguire il percorso sul monitor!
Rendersi conto che dopo un paio d'ore di volo, tecnicamente, sei già in questa benedetta Africa che pare sia chissà cosa e noi stiamo andando a controllare, cosa è.
E l'ingordigia di appiccicarsi al finestrino per stamparsi in testa le prime immagini, senza nemmeno capire bene cosa vedevamo ma approfittando della fugace prospettiva da aquila.





 E poi... siamo scese ed è iniziato il nostro mese di conoscenza che non è mai finito :)


20.9.12

Lessico familiare. Versione Nebbialandia

Dato che non trovo le parole per incunearmi nella realta', svellerla, interpretarla e offrire una via d'uscita, per il momento le parole le prendo a prestito e le riporto pari pari.
Laboratorio, una mattina qualsiasi. Tono: urlato, con vibrante disprezzo e pause ad effetto.

Sei una ciste!
Cretino!
Non capisci niente!
Farei meglio a scendere e prendermi il primo stronzo che passa per la strada!
Sei una scimmia!
E' meglio avere la morte in culo che te a fianco!
Sei un tumore!


La scena dura minuti interminabili. Il tutto all'indirizzo di Puntaspilli, che tace con gli occhi bassi, rigido.
E all'indirizzo mio, indirettamente, che sono li' a fianco e devo fare da pubblico: si parla a nuora perche' suocera intenda, era questo il detto?
In genere Puntaspilli non ha fatto niente di grave, spesso nemmeno sa cosa abbia fatto, e quindi come difendersi. Non reagisce perche' sa che dopo la sfuriata non succede niente di particolare, perche' ancora crede che ci sia motivo di fidarsi, perche' in ogni caso ormai vuol finire il dottorato.
A volte non ha fatto proprio niente: Lui e' nervoso per un operaio che ha sbagliato una misura da qualche parte, per esempio. O ce l' ha con me ma a me non si rivolge in quel modo, o io vado a scrivere le dimissioni seduta stante.

Sono stanca. Mentalmente e fisicamente.

Mi e' stato suggerito che, dato che trovo difficile aprire bocca per interpormi senza scatenare la terza, quarta e quinta guerra mondiale tutte insieme, potrei almeno segnalare nonviolentemente la mia totale disapprovazione per gli insulti urlati girando sui tacchi e andandomene. Vuoi rapportarti con me? Non cosi'. Questo sarebbe il messaggio. Non credo sarebbe preso bene, ma non ho davvero piu' molto da perdere. E in ogni caso, scommetto che avrebbe difficolta' a corrermi dietro e fare la scenata di fronte a testimoni di altri gruppi.

3.9.12

La linea d'ombra

The Fighting Temeraire. 1839, Joseph MW Turner
Entrammo nell'albergo. Scoprii sorpreso di avere un grande appetito. Poi, sulla tovaglia sparecchiata, gli snocciolai tutta la storia da quando avevo preso il comando, in ogni suo aspetto professionale ed emotivo, mentre lui fumava tranquillo il grosso sigaro che gli avevo offerto. Quindi giudiziosamente osservò:
«Deve sentirsi ben stanco a quest'ora».
«No», dissi. «Non stanco. Le dirò io come mi sento, capitano Giles. Mi sento vecchio. E devo esserlo. Tutti voi qui a terra mi sembrate una banda di sbarbatelli che non hanno mai conosciuto una preoccupazione al mondo».
Non sorrise. Aveva un'aria insopportabilmente esemplare. Dichiarò:
«Passerà. Ma è vero, sembra davvero più vecchio».
«Aha!», dissi.
«No! No! La verità è che nella vita non si deve dare troppo peso a nulla, né in bene né in male».
«Vivere a mezza velocità», mormorai con cattiveria.«Non tutti possono farlo».
«Sarà abbastanza contento adesso se potrà continuare a procedere persino con quel passo», ribatté con la sua aria di consapevole virtù. «E c'è un'altra cosa: un uomo deve saper affrontare la sua cattiva sorte, i suoi errori, la sua coscienza e tutto quel genere di cose. Contro cos'altro si dovrebbe combattere altrimenti?».
Rimasi zitto. Non so cosa mi lesse sul volto, perché improvvisamente mi chiese:
«Come, non sarà mica scoraggiato?».
«Dio solo lo sa, capitano Giles», fu la mia risposta sincera.
«Non c'è niente di male», disse con calma. «Imparerà presto a non scoraggiarsi. Un uomo deve imparare tutto, ed è quello che tanti di questi giovanotti non vogliono capire».
«Io non sono più un giovanotto».
«No», concesse. «Parte presto?».
«Vado direttamente a bordo», dissi. «Tirerò su una delle mie ancore e darò mezzo cavo all'altra non appena il mio nuovo equipaggio verrà a bordo, e partirò domattina all'alba».
«Davvero?», grugnì il capitano Giles in segno di approvazione. «Così si fa. Ci riuscirà».
«Che cosa si aspettava? Che mi sarei preso una settimana di riposo a terra?», dissi irritato dal suo tono. «Non c'è riposo per me finché la nave non sarà al largo nell'Oceano Indiano, e anche allora ce ne sarà poco».
Tirò una boccata dal sigaro con aria incupita, come trasfigurato.
«Sì, tirate le somme, è proprio così», disse in tono assorto. Era come se un pesante sipario si fosse alzato, lasciando scoperto un inaspettato capitano Giles. Ma fu solo per un istante, il tempo necessario perché aggiungesse:
«Nella vita c'è ben poco riposo per tutti. Meglio non pensarci».
Ci alzammo, lasciammo l'albergo, e con una calda stretta di mano ci separammo per strada, proprio quando, per la prima volta da quando ci conoscevamo, cominciava a interessarmi.
(Joseph Conrad, La linea d'ombra)

28.8.12

Pezzodipane va alla ventura - 3


Van Gogh, I campi
IL lavoro alla tenuta era un incubo. Infatti il Soprintendente del Nobile Signore appariva un uomo assai gentile, ma questo valeva per chi non abitava nella tenuta e non poteva assistere alla sua quotidianità se non per la durata di una visita ricamata di premure e conversazioni brillanti e spiritose.
La condotta con i lavoratori a lui sottoposti, al riparo da occhi indiscreti, era invece brutale e schiacciante. Urlava, e Pezzodipane sobbalzava ad ogni urlo. Urlava e le urla erano insulti, stupido, scimmia, cretino che non sei altro, insultava i lavoratori continuamente. D'altra parte gli errori dei contadini sembravano giustificare la sua rabbia: ma era pur vero che dava istruzioni contraddittorie, che cambiavano da un momento all'altro, e che chi è spaventato lavora male. E quando, mal istruiti e tremanti, i contadini consegnavano un lavoro malfatto li scherniva pesantemente davanti a tutti. I contadini lo temevano, si vergognavano per i rimproveri e tutte le loro azioni erano tese a evitarli; ma era inutile, perché un rimprovero poteva arrivare per aver fatto una cosa o per non averla fatta, per averla fatta in un modo o nel modo opposto. Non c'era scampo né sembrava ci fosse mai stato: non si sentiva il Soprintendente lodare il lavoro di alcuno dei lavoratori che erano passati, negli anni, a lavorare nella tenuta.
Per alcuni mesi Pezzodipane rimase invischiato in questo clima di terrore per lui nuovo, camminando come in sogno, cosciente solo a metà del lavoro iniziale di dissodamento della terra per il suo orto, costantemente teso a evitare rimproveri e derisione o sofferente per essere costretto ad assistere alle angherie perpetrate sugli altri. Su di lui, infatti, non si abbattevano le urla e la derisione aperte riservate ai contadini. Forse il Soprintendente intuiva che, per quanto confuso e spaventato, Pezzodipane riconosceva i soprusi per quel che erano: non c'era scusa per urlare insulti a quel modo. Mite fino all'esasperazione (altrui), aveva però un un nocciolo coriaceo, aveva un po' di esperienza in più degli altri contadini e ricopriva pur sempre un ruolo leggermente superiore a loro. Era certamente in difficoltà, come ultimo arrivato sul posto, a interporsi fra il suo capo e i contadini che sembravano accettare supinamente quello stato di cose; ma avrebbe reagito a un attacco diretto a lui, vuoi con un contrattacco verbale o semplicemente tornandosene da dov'era venuto. Il Soprintendente lo lasciava quindi tranquillo... di rimanere ad assistere, impotente, alle vessazioni quotidiane, senza offrirgli appigli che gli facessero superare la soglia dell'esasperazione.
A lui era diretto principalmente l'attacco più sottile: si rivelò infatti molto difficile svolgere il lavoro per cui era stato chiamato. Il suo capo non gli permetteva nemmeno di vangare senza la sua supervisione, figuriamoci seminare un po' d'insalata; anzi, spesso Pezzodipane non riusciva nemmeno a prendere la vanga che il Soprintendente gliela toglieva di mano e si metteva all'opera, spiegandogli come vangare e mostrandogli come fare: per ore intere. Pezzodipane, che vangava da quando aveva memoria di esistere, non si capacitava di essere stato chiamato per stare a guardare un capo che faceva il suo lavoro, nè sapeva come rispondere al suo capo che gli diceva "Vedi? La vanga si tiene così". Cosa poteva rispondere? "Lo so" sembrava scortese, ma non dire nulla significava ammettere di non averlo saputo; avrebbe voluto dire "Lo so" ridendo e riprendersi la vanga con innocente leggerezza, ma non gli riusciva di ridere in quel clima. Era intrappolato. Si sentiva umiliato e gli sembrava di rubare il vitto che riceveva. Questo trattamento, in aggiunta a tutto il resto, accadeva anche agli altri contadini: il capo correva di qua e di là svolgendo i lavori, costantemente inveendo contro l'incapacità dei suoi lavoratori, strillando che lui non poteva fare tutto e lamentandosi poi di essere molto stanco.  E, in effetti, non poteva certo svolgere il lavoro di tutti i contadini contemporaneamente, ma solo quello di uno per volta: perciò il lavoro di tutti procedeva a rilento.
Van Gogh, Case a Cordeville
Pezzodipane cercò di parlarne con gli altri e di far loro capire che non era necessario accettare tutto; alcuni comprendevano e questi dialoghi clandestini divennero un momento di supporto e di sfogo, ma appena fu loro possibile questi contadini lasciarono la tenuta. Con le persone che non conoscevano la tenuta era invece difficile parlare: semplicemente, faticavano a credere a ciò che raccontava e, generalmente, Pezzodipane finiva per pensare che doveva essere lui l'incapace, quello che non capiva e che non sapeva lavorare come si deve. D'altra parte, chi lavorava in tenute confinanti lo rassicurava che no, semplicemente lì dentro nessuno era mai riuscito a lavorare bene, e lo compativa per essere finito inconsapevolmente in quella trappola. Pezzodipane rientrava dunque nella sua capanna la sera e si sedeva a capo chino a chiedersi come uscire da una situazione tanto assurda e spiacevole.
Continua...

3.7.12

Caronte



Scoiattoli litigiosi a Central Park.
Sto sistemando le foto, poi vi racconto...
New York era ancora viva negli occhi e avevo passato la notte sveglia cercando di non far arrivare il mattino, e così corazzata di vacanze e di sonno mi ci è voluto tutto il giorno per rimettere a fuoco la vita a Nebbialand.

Arrivata alle 9.00 dopo quattro ore in auto ho scoperto che in laboratorio c’era solo Salveroilmondo, la dottoranda, mentre tutti gli altri erano, presumibilmente, chi per strada, chi davanti al caffè a casa - a circa cinque minuti in auto da lì. Se sembro polemica è perché lo sono. E per tutto il giorno non ho avuto niente da poter fare, faccenda che sospetto sia uno degli indicatori del mobbing, ma qui non è proprio così - ma è complicato. I doveri amministrativi, notoriamente entusiasmanti e pertanto diligentemente accumulati, mi sono venuti in soccorso.

Tra una faccenda e l’altra ho chiesto a Tè allo Zafferano e Nonhaicapito, miei compagni di ufficio, se sanno che quest’ondata di caldo si chiama Caronte e se sanno chi è Caronte. Scherzando ho detto loro di tenersi strette le loro anime, altrimenti li traghetterà nell’aldilà e poi ripigliarli non è uno scherzo. Poi, in un momento di quiete, Tè allo Zafferano ne ha approfittato per una missione diplomatica.
  

14.6.12

Era solo per riordinare il garage


Nota: è un post lunghissimo, ma è un periodo intenso tra lavoro fuori sede, weekend a lavorare nel cantiere  (abbiamo finalmente la porta d'ingresso!) e un tentativo di organizzare il mio prossimo lavoro con degli spagnoli.
Allora stasera mi sono impegnata e lascio qualcosa da leggere... perchè sto per andarmene negli USA per 15 giorni al seguito del Nonaddetto che ha un congresso nella città di A, quella dove va sempre l'Elasti-famiglia. E noi ci attacchiamo una settimana a NYC. In una stanza affittata in un appartamento, perchè per gli americani il concetto di "hotel low cost" significa "meno di 250$ a notte". Spero che torniamo vivi ed entusiasti! Proverò a connettermi da là ma non si sa mai. Almeno allora lascio i saluti... ci si vede a luglio!

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Succedono fatti che sono come domande
passano giorni, oppure anni
e poi la vita risponde.
(non mi ricordo chi l'ha detto)

I Nonaddetti hanno deciso di buttare l'Everest di scatoloni che l'Ingegnere, ex proprietario-meteora della casa, aveva lasciato in garage. Non le porte in legno di 100 anni fa che avrebbe dovuto lasciare, ma scatoloni di scartoffie, vestiti vecchi e tutto quello che non si ha il coraggio di buttare anche se non ci ricordiamo neanche cos'è. La pazienza ha un limite, in questo caso un anno e mezzo, la stagione inizia a far rischiare grandine, avere un garage e non poterci metter l'auto è fastidioso e quindi...

Tra il ciarpame, separato in carta/plastica/indifferenziato, come si poteva aspettarsi c'era un po' di pornografia. Poca roba e innocua, qualche videocassetta etichettata con uno scarno "VM18" e un paio di fumetti. Ho guardato qualche pagina dei fumetti e poi li ho aggiunti al mucchio  della carta da riciclare.
Mentre buttavo gli scatoloni successivi, però, pensavo e mi venivano domande. Così poi ne ho parlato con il Nonaddetto. Ci siamo scambiati le nostre esperienze (e inesperienze) al riguardo, le nostre opinioni, le esperienze e le opinioni di amici che ce ne avevano parlato... tipo quelli che abitavano sopra il night club.

Il succo del discorso è stato: puoi anche non essere mai stato un fruitore di materiale pornografico, eppure appena ne vedi un briciolo lo riconosci. Dentro di te. Riconosci gli stereotipi, l'impostazione dei ruoli, le (brevissime e iper-ripetitive) narrazioni.
Se lo riconosci senza averci mai avuto a che fare, vuol dire che non sta solo lì dentro. E' anche fuori. E a pensarci, è dappertutto, la pornografia è lo schema mentale che domina le relazioni spicciole tra le persone nel quotidiano. Sono incredibilmente familiari, quei personaggi e quei copioni.

Qualche sera dopo, passati dal Fratello, la TV in sottofondo mandava uno 007 con Connery (che è indubbiamente meglio da vecchio di allora). E io guardavo distratta, e poi mi sono resa conto che era lo stesso copione, anche se si fermava prima di mostrare alcunché di esplicito. Lui seduce per definizione, lui è un dio in terra, lui non si può non volerci andare a letto, lui non ha bisogno di corteggiare, non deve dire niente, si siede al tavolo da gioco e voila, la signora gli dice possiamo vederci? E lui se la trova poi in casa già spogliata. "Guardi che devo partire subito... beh, quasi subito". Finito, non c'è altro. (Anzi spesso in 007 lei moriva direttamente, così faceva spazio)

La conclusione è stata: il modo di essere (? non essere?) e di relazionarsi (??) che propone non mi piace, non fa per me, mi fa sentire male.
PERO'.
Mi trovo a corto di modelli alternativi.
Voglio dire... posso pensare a decine di altri film e libri con trame simili. Tutti buoni per dire "ecco, se tu avessi fatto così con me... col cavolo che concludevi qualcosa".
E neanche mi piacciono i romanzi rosa, con 350 pagine di pippe mentali di lei, lui che è un incrocio tra il principe azzurro e lo stesso maschio di cui sopra, e  finisce con "e vissero felici, appassionati e contenti".
Ma sono in difficoltà a dire "potresti leggere questo libro o potremmo guardare questo film, ecco, quella coppia è proprio... proprio... sono innamorati. Si amano. Capisci? Sono capaci di amare, imparano questo!". Mi viene in mente solo L'amante di Lady Chatterley, o al limite L'amante, anche se mi sento più  in sintonia coi gusti di Connie che di Marguerite.

Poi l'altro giorno mi imbatto nell'ebook La fine del desiderio, e collego che è la stessa autrice di Sii bella e stai zitta, e che c'è un terzo ebook sulla sua esperienza attraverso l'anoressia. Scopro che è una filosofa uscita dalla Normale, trasferita in Francia e che lì è una voce nota. La sinossi dice "Cos'è la pornografia? Cosa la differenzia dall'erotismo? La filosofa Michela Marzano indaga le basi della rappresentazione del corpo umano e della sessualità...".
L'introduzione al libro è prolissa e macchinosa. Ma è arrivato con un tempismo troppo perfetto. Sta sulla mia libreria dei desideri e penso che passerà presto in quella degli ebook.

A far compagnia al suo libro personale... che dimostra un tempismo altrettanto perfetto. Lo prendo. Lo inizio. Non ho mai avuto problemi col cibo se non da piccolissima, ma i meccanismi che descrive li riconosco, in me, in molte persone che mi sono vicine e meno vicine. Siamo simili, viviamo tutti gli stessi problemi e abbiamo le stesse paure, poi ognuno reagisce a modo suo.
Quelle parole mi hanno fatto luce su alcune cose che confusamente cercavo di sbrogliare da me.
E oggi la Mamma, la Sorella e il Papà erano in crisi. Niente problemi di cibo, ma tante paure. Mi è arrivato un sms di quelli che chiamano emergenza. Ho preso una pausa e ho scritto loro. Con le mie parole, che dopo anni fuori di casa riesco finalmente a rintracciare, e aiutata dalle riflessioni di questi giorni sul libro.
Spero di aver aiutato un poco. Spero di non aver fatto del male. Pare di no, dai primi commenti, pare che  in un momento di nebbia abbia parlato di sole e cielo azzurro. Meno male. Avevo lacrime dietro gli occhi e un vuoto, un buco, nella pancia, dove ti prende la paura. Voglio bene alla mia famiglia.
La sera ne ho discusso col Nonaddetto e siamo stati d'accordo: ho un bravo papà e una brava mamma e un fratello e una sorella a cui voglio bene. Sono, siamo, lontani dalla perfezioni e pieni di vuoti, di buchi, ma ci vogliamo bene e, nonostante gli scivoloni, di base sentiamo che non mettiamo condizioni al volerci bene. Ti voglio bene anche se non sei perfetto e non fai quel che vorrei io, non solo se sei come vorrei.

E penso a Tè allo Zafferano e Nonhaicapito, che non leggono libri. Devo trovare loro un libro per ciascuno che faccia loro venire il dubbio di perdersi qualcosa di importante...

E pensare che volevamo solo mettere l'auto in garage!


31.5.12

Pezzodipane va alla ventura - 2

Van Gogh, Campo di grano sotto un cielo nuvoloso
MENTRE viaggiava verso le terre del nobile signore, Pezzodipane favoleggiava sul meraviglioso orto che avrebbe pazientemente ma alacremente creato e sulla fama che avrebbe guadagnato in quelle terre lontane.  Era stato abituato a lavorare duramente dal mattino alla sera e il padrone era soddisfatto dei suoi servigi, ma si trattava pur sempre di servigi piuttosto ordinari; questa era l'occasione per dimostrare davvero quel che valeva. Chissà, magari poi qualche nobile più nobile l'avrebbe chiamato ad occuparsi delle sue tenute, e alla fine forse un principe, o il re? Alla mensa reale le dame avrebbero chiesto chi fosse mai a coltivare verdure tanto saporite e frutti tanto profumati.
Arrivato alle terre del nobile signore ebbe solo modo di intravederlo mentre gli comunicava che avrebbe fatto base alla tenuta del dipendente maggiore: lui l'avrebbe seguito nella creazione dell'orto e gli avrebbe insegnato le arti del frutteto. Condiscendente e gentile, Pezzodipane pensò che non era quello che il nobile signore aveva chiesto ma che i nobili signori cambiano spesso idea; quanto a lui, avrebbe senz'altro tratto profitto dalle conoscenze del suo nuovo supervisore e accettò di buon grado di lavorare con lui.
Presto però gli sembrò di essersi svegliato su un incubo.
Continua...

21.5.12

Ancora sui falchi

Per la verita', Eugenio, a me il falco e' sempre stato simpatico.
Sara' che son cresciuta a pane e Quark e non ce l'ho mai avuta coi predatori - per la verita' non mi piacciono quelli a due zampe e senza ali, ma rapaci serpenti e lupi non li consideravo negativi neanche da bambina. Peccato non aver mai chiesto agli Angela di adottarmi ;)

Sara' per quelle estati nella vecchia casa dei nonni, che ha dato a noi piccoli quelle radici che i nostri genitori indipendenti avevano in parte reciso per respirare meglio. Con le montagne appena dietro, a coprirci le spalle, e la pianura davanti in cui costruirci la vita, come sempre nella nostra esperienza; e qualche falco a chiamare dal cielo sopra le nostre teste piene di pirati e avventure.

Non ti chiamava, il tuo falco, Eugenio? I nostri eccome! Li sentivamo e abbandonavamo a precipizio quel che stavamo facendo: in genere accampamenti in miniatura a misura di qualche esserino fiabesco, costruiti pazientemente, all'ombra degli alberi piantati dal nonno bambino, e capaci di durare da un'estate all'altra - dovevamo darci all'architettura e all'ingegneria naturalistica, adesso costruzioni del genere, se fatte su scala piu' ambiziosa, sono green ed environmental friendly. E correvamo allo scoperto, dove si vedeva il cielo abbagliante di sole e strizzavamo gli occhi per cercare le piccole sagome scure, alte levate, e vederle era una vittoria piena di complicita'.

E andavamo spesso in passeggiata, su quelle montagne che fanno parte di noi, del nostro respiro dei nostri passi dei nostri sogni, e i falchi chiamavano ed erano piu' vicini e ammiravamo - invidiavamo - i pochi attimi che bastavano loro per attraversare la valle su una corrente vertiginosa e poi roteare sopra la nostra meta, che sapevamo avremmo raggiunto solo dopo mezza giornata. Ma altrettanto velocemente tornavano e mio fratello piccolo con la sua voce acuta gridava forte il grido del falco anche lui; e forse il falco continuava a gridare per i fatti suoi, ma poteva anche essere che gli rispondesse. E chissa' quali improperi si dicevano in quella lingua di strida, Eugenio, ma noi eravamo tutti felici di fare le ambasciate al falco.

Non ci e' mai stato indifferente. E' sempre stato la nostra anima fatta uccello, vola incredibilmente alto e veloce e ci chiama e ci segna la meta, e noi camminavamo passo passo cercando fiori erbe farfalle lamponi sassi e conchiglie fossili, e ascoltavamo il grido, e lo seguivamo. Lo seguiamo anche adesso, quando in qualche giorno fortunato lo sentiamo gridare e subito l'istinto di quei giorni ci fa alzare gli occhi e strizzarli a cercare nel sole.

16.5.12

La scelta giusta? Non c'è.

Un momento prima era tutto normale, in quel momento posso cambiare qualcosa. Posso anche non farlo, basta tacere ancora, sviare con un altro sorriso, non raccogliere una domanda, tutto continuerà come prima. Oppure posso parlare.
Cosa scelgo, continuo per la strada che ho trovato segnata, o mi metto di traverso? Non posso non scegliere, se non faccio niente sto scegliendo la prima scelta. 
La seconda, invece, la scelta più onesta, trasparente, di chi vuole fare, cambiare, mettersi in gioco, a costo di mostrare i propri limiti, credendo che si può migliorare. E' giusta, in teoria. Allora perché l'amaro in bocca?
  

Perché qualcuno passa per cattivo, ma io non mi sento dalla parte del giusto, non ho ricette, non sono migliore di nessuno.


  
Perché qualcuno passa per buono, ma dov'era finora? E qualcuno pensa che io mi illuda che improvvisamente tutto cambi, che avrò un angelo protettore e che non le prenderò (moralmente) come e più di prima?
 
  
    
Perché a mettersi di traverso si diventa automaticamente brutti e cattivi. Non si ha ragione. E a dire il vero io non voglio averla. Vorrei solo rispetto reciproco.

  
Perché vorrei ragione per tutti e invece non ce n'è per nessuno, ecco perché.
 
Per fortuna il mondo è grande e ci sono tante altre persone con cui spendere le 8 (... 10) ore diurne e ricordarsi che è possibile essere diversi.

2.5.12

Pezzodipane va alla ventura - 1

V. Van Gogh - La Crau
C'ERA una volta un rispettabile signore di campagna. Aveva terre da cui ricavava una discreta rendita ed era abbastanza conosciuto nella sua regione. Parecchi contadini erano alle sue dipendenze ma, poiché la campagna gli piaceva molto, insisteva per supervisionare direttamente ogni nuovo lavoro che venisse intrapreso, senza paura di sporcarsi le mani.
Uno dei suoi dipendenti era particolarmente abile ed esperto; sembrava avere una conoscenza approfondita di quasi tutti gli argomenti, non solo quelli relativi al suo lavoro: aveva anche una vasta cultura. C'era perciò anche chi lo stimava più competente del suo padrone. Era alle dipendenze del nobile signore da molti anni; gli incarichi che riceveva erano diventati sempre più importanti, così come il compenso per i suoi servigi, tanto che ormai aveva assunto lui stesso uno status semi-nobiliare. Da ben 7 anni viveva in una tenuta separata, su cui aveva piantato un bel frutteto.
La tenuta apparteneva formalmente al nobile signore, ma questi vi metteva piede piuttosto raramente: era diventata perciò una specie di piccolo regno a sé. E' vero che il dipendente e il nobile signore si vedevano spesso e si scambiavano opinioni su tutte le faccende piccole e grandi che capitavano nella campagna (sembrava che nulla potesse sottrarsi alla loro attenzione), ma quando faceva un giro nella tenuta affidata al suo dipendente il nobile signore aveva la sensazione che, lì, tutto gli sfuggisse e che i lavori fossero stati, formalmente, concordati con lui, ma che lui non li capisse fino in fondo.
Un giorno il nobile signore acquistò una nuova terra su cui intendeva creare un grande orto. Cercò quindi un lavoratore che avesse già esperienza con questo tipo di coltivazione ma cerca e ricerca, chiedi e richiedi, non si trovava una persona disposta a occuparsene. Il nobile signore chiese quindi aiuto a un amico lontano e lo pregò di inviargli un contadino di fiducia, che rispondesse direttamente a lui: non voleva lasciar crescere ancora il potere del suo dipendente maggiore. L'amico parlò con i suoi orticoltori più fidati e Pezzodipane si dichiarò disposto a prendersi questo incarico, a condizione che gli venisse insegnato anche come occuparsi di un frutteto. La condizione fu accettata, perciò Pezzodipane fece fagotto e si mise in viaggio verso le terre del nobile signore.

Continua...

20.4.12

Questa metà del cielo

E' importante e allora al volo vi segnalo che oggi è Blogging Day «contro lo stalking, il femminicidio e ogni altra forma di violenza sulle donne». Trovate le info che ho trovato io su questo bel blog.
Scappo!

Bigliettino


Questa assenza si sta prolungando in modo imbarazzante e me ne scuso. Sto correndo, è un periodo duro, e siamo senza internet a casa. Mi capita di pensare "questo lo devo scrivere sul blog" e poi non riesco manco a metterlo in una bozza, poi anche i post hanno una data di scadenza e posso raccontarvi adesso che per Pasqua avevo comprato un regalino per Tè allo Zafferano, e la mattina che volevo darglielo in ufficio ho trovato già sulla scrivania il suo, di regalino, e allora ho preso il mio e abbiamo riso  siamo state contente? E che poi le ho dato un po' di ovetti di cioccolato da nascondere per la zona comune della Foresteria e regalare una caccia agli ovetti a tutti i Forestieri stanziali, come i miei facevano per noi quando eravamo piccoli, e che questa bambinata è stata apprezzata? O Pasqua è passata da troppo tempo?
Un abbraccio, a presto
Nonaddetta

10.4.12

Weekend

Questo post è allo stadio di bozza da 2 settimane. Non sono riuscita a scrivere altro, perciò propino questo. Oggi ho bisogno di sfogarmi, per cui potrei scrivere ma potrei giudicare quel che scrivo più indigesto di questo che avevo scritto: e cestinare! Spero di non fare come il classico marito (non il mio) che con 37°C è in fin di vita sul divano.

Il mio weekend è iniziato venerdì alle 23, quando ho rimesso piede a casa dopo quattrocento km e spiccioli. Un bacio al Nonaddetto, la Gatta che mi ignora bellamente - ehi felino, insinui che non sono più di casa qui, io?, una tazza di latte per completare la cena a base di crackers in auto, ci metteremmo a chiacchierare ma è tardi, doccia e nanna.

Sabato mattina si dorme. I lavori non si fanno da soli ma siamo stanchi. Il pomeriggio torniamo a vedere la cucina. Mentre noi ci dedichiamo a simili  inaudite gozzoviglie passa da noi, senza una telefonata preventiva, il vecchietto Idraulico con l'anca sbilenca che si lamenterà molto per non averci trovati a casa. La Cucina. Nonostante fossimo partiti ancora un po' dubbiosi, piano piano all'unisono decidiamo. Abbiamo ordinato la cucina. Dico! E' bellissima (somiglia a quella della foto, ma di un'altra ditta. E c'è del rosso), è ben fatta, è garantita 10 anni, è un passo grosso, fa tanto casa, siamo emozionati. Andiamo a dormirci su. No, un sms cambia il programma, il Fratello è nella Piccola Città, pizziamoci così possiamo portargli il suo regalo di compleanno. Torniamo contenti ma sfiniti. La lavatrice è pronta da stendere. Stendiamo. Crolliamo.

Domenica mattina si ridorme. Si lavoricchia, la malta, il colore, carteggiare, pulire, ci sono troppe cose da fare per due soli giorni a settimana. Si cerca di mettere insieme un pranzo della festa, di appianare le piccole incomprensioni del non vivere vicini, noi che condividevamo le 24 ore e adesso abbiamo un telefono sempre di mezzo. Le cose che facevano casa, che facevano noi, la sua musica dallo stereo, cucinare insieme, i suoi videogame, il mio giardinaggio in salotto, lanciare i topi di peluche alla Gatta, farci la lotta, farle le foto, farci un gelato, andare a passeggio - a quando? E' vero, adesso abbiamo la casa che prende forma - la nostra forma, però ci mangia tutti i weekend e il weekend è l'unico momento che abbiamo insieme, serve trovare un equilibrio e a volte viene un po' meno bene altre volte meglio.

Domenica sera si cena presto e poi riparto, perchè sono le settimane delle lab classes alla Città delle Bambole e per spezzare la strada mi appoggio ai miei, che son a metà strada tra me e il resto del mondo. Il mio weekend finisce domenica alle 20. Centottanta km. Un bacio alla Sorella, un po' di chiacchiere con la Mamma, Papà che già dorme, nessuno che mi dica questa casa non è un albergo. Crollo, sono già due ore che mi si chiudono gli occhi.

Lunedì mattina centosessanta km, con gli occhi che bruciano e si chiudono, ma perché ho così sonno stavolta, su verso gli abeti e le eriche e il cielo, poi giù verso i meleti e la gente che fa jogging sul terrapieno a fianco dell'autostrada, e verso 16 ragazzetti che non si aiutano a vicenda, mi guardano dall'alto in basso, qualcuno è in piena fase adolescenziale ritardata - mi do arie da persona adulta e competente (ringrazio di avere un buon inglese: un appiglio in meno!) mentre mi scaglio contro chiunque contesto tutto e vedo se reggi. Ma io non sono ingegnere, convivo bene con la scarsa affidabilità dei sistemi biologici: sono sedici 22enni e li preferisco mille volte caotici, rumorosi, sfiancanti, irrispettosi e piuttosto maleducati, piuttosto che militarescamente inquadrati, silenziosi e ordinati - che angoscia sarebbe. Pian piano puntualizzo cosa mi aspetto da loro, mi stupisco nel trovare risposta - oggi hanno aspettato il loro turno allo spettrofotometro senza proteste e lasciato il laboratorio quasi perfettamente pulito. Pian piano si accorgono che mi accorgo di chi di loro sa fare e chi no, cosa sa fare e cosa no, che cerco di spiegare in modo mirato, spero che qualcosa imparino. Tanto per dire, che è giusto ricevere un protocollo, e che è lecito chiedersi che cosa di quel che è scritto si può modificare, e perché. Esco stanca e non vado in mensa, sono stufa di mangiare da sola cibo mal cotto e di non poter sapere i prezzi, maggiorati rispetto ai professori, che toccano a me in qualità di collaboratore intellettuale dell'università. Un altro contratto che non c'è in nessuno dei moduli a crocette che mi capita di dover compilare, che so, al centro per l'impiego o per l'ISEE: io non esisto mai.

Lunedì sera trecento km, sono le nove passate, ho fame ma appena metto piede in Foresteria mi investe Maschiaccio con lo smalto rosa shocking alle unghie dei piedi e richieste di traduzioni in inglese di concetti come certificato di residenza storico, che non so cosa sia manco in italiano, e con racconti di decapottabili del '72 lanciate verso un concerto con lei dentro, che però finiscono la benzina in autostrada e bisogna spingerle e poi cercare la benzina ma invece arriva la polizia e tocca salire sul carroattrezzi stando dentro l'auto e tutta la gente ride, e non è un sogno ma il suo weekend.

Ho squillato al Nonaddetto ma non mi richiama, mi appendo al telefono per controllare se è caduto in un videogame, tra le braccia della rossa, la bionda o la mora, oppure giù dalla scala a pioli: è già successo e mi vien l'ansia a pensarci.

Buonanotte!