28.4.11

Tarli III - Disinfestazione semibiologica fai da te


Dicevo che nella casa pare ci sia lui: il tarlo grosso, bastardo, che mangia abete, vola e se gli gira vive 20 anni.

L’eradicazione rapida e totale di un infestante biologico (vivo: un insetto, un virus, un fungo) è difficile e costosa. Per i tarli nel legno in opera ci sono i trattamenti con l’azoto, che li soffoca, o con l’aria calda, o con le microonde, sarebbero risolutivi e veloci ma costano una fortuna.
Optiamo per una lotta a intensità minore ma prolungata: prima si abbatte la maggior parte dell’infestazione, in modo che non sia più pericolosa, e poi con calma si fa in modo di eliminare gli ultimi focolai, anche sperando che effettivamente l’infestazione sia agli sgoccioli per via dell’età del legno. Dopotutto, sono vivi: prima o poi muoiono anche da soli, l’importante è che non si riproducano. E che non ne arrivino altri: basta mettere le zanzariere; se volessero le bucherebbero in un momento, ma è più probabile che se ne vadano tranquillamente altrove, e per me possono stare in pace basta che non siano in casa.
Per quelli che già son dentro si crea un ambiente sfavorevole: basta viverci, così si pulisce (stiamo aprendo tutti i posti martoriati ed eliminando la segatura, che assorbirebbe a litri qualsiasi prodotto dato ai travi impedendogli di arrivare al legno buono. Alcuni puristi grideranno al massacro dei travi, ma noi vogliamo pulire e non ci spiace il merletto delle gallerie. Basta che non ne facciano altre), si leviga, si vernicia, si illumina e si fa rumore, si tiene asciutta la casa. A loro non piace: sono creature dei boschi, in fin dei conti, amano le superfici irregolari, il buio, il silenzio e l’umidità. Prego, andatevene. Poche volte, purtroppo, ma escono, e per uscire (e comunque per entrare) devono mangiare il legno superficiale. E noi, cattivissimi, lo avveleniamo.
Non daremo l’antitarlo classico perché è inutile: lo spessore dei travi è tale che non raggiungeremmo mai l’interno con concentrazioni sufficienti e durevoli al punto da ammazzarli, specialmente se sono insetti grossi (insettario docet, ammetto). E poi non vogliamo trasformare i travi in diffusori di antitarlo che respireremmo anche noi. Proveremo a farci da noi l’antitarlo della bioedilizia, a base di boro. È un sale, lo si scioglie in acqua e si impregna il più possibile il legno. Non evapora, non è tossico per contatto (a meno di farci il bagno) ma per ingestione: e noi non mangiamo il legno… Si fa con il borace (che la nonna usava come sapone) e l’acido borico (che la nonna usava come disinfettante, anche se è classificato come teratogeno quindi c’è da capire bene prima di usarlo). Speriamo di trovarli, dovrebbero costare poco – a differenza dell’antitarlo pronto che, dato che è etichettato per bioedilizia, costa una fortuna. E speriamo di trovare un modo per iniettarlo nelle parti dei travi innestati nei muri, le preferite dai tarli.

Nel frattempo oggi dovremmo salutare il nostro Geometra, tanto ninino quanto inconcludente, e affidarci al Perito del paese. E io dovrei finire la domanda per il concorso nella Grande, lontana Città. Gritch-gritch-gritch

Tali II - Identikit dei NOSTRI tarli

Dicevo che i tarli non li vedi quasi mai e devi capire con chi hai a che fare – e come silurarli – a partire dai danni che trovi.

Sono insetti, cioè truppe scelte dei marine: sei zampe, scheletro esterno al corpo e non muoiono mai. Ho odiato l’esame di entomologia per colpa dell’insettario, che mi costringeva a vedere le bestioline soffrire per giorni finché ho optato per raccattare quelle che trovavo morte in giro (era vietato perché erano irrigidite in pose assurde e di solito mancanti di qualche pezzettino).
Sono coleotteri: non succhiano come le farfalle ma hanno una bocca che mastica e mandibole in grado di graffiare il metallo. Grazie tante che mangiano anche legno, che non è manco facile da digerire: alcuni hanno batteri simbionti nell’intestino e possono mangiare anche legno vecchio di secoli. Altri no, e quando il legno ha 80-100 anni si rivolgono altrove.
Alcuni camminano, e sono i più lenti perché non corrono come le blatte, ma altri sono ottimi volatori.
I tarli, dalle nostre parti, sono soprattutto 4: due piccoli e due grossi. Uno piccolo (quello classico) e uno grosso lasciano gallerie vuote e graziosi mucchietti di segatura all’esterno. L’altro piccolo e l’altro grosso sono più bastardi, capaci di ridurre a un colabrodo il legno lasciando la segatura all’interno e la superficie intatta: tu credi di guardare un pezzo di legno, invece ormai è un velo che copre segatura. Questi sono in grado di compromettere il legno che ha funzione strutturale (i travi, per capirsi).
Le fonti si contraddicono, ma dovrebbero avere ciascuno i propri gusti. I nostri travi sono probabilmente di abete, e non tutti i tarli mangiano legni resinosi. Manco a dirlo, quello grosso e bastardo mangia conifere.
In condizioni avverse le larve se ne stanno quiete nel legno. Quelli piccoli vivono poco (2-3 anni al massimo), ma quelli grossi sono stati trovati vivi anche dopo quasi 20 anni.
Li si sente a orecchio, di notte quando c’è silenzio: senti il gritch-gritch ritmico e ti dici noooo, la specchiera della prozia! Oppure senti piccoli tonfi ritmati chiamati, con allegria medievale, l’orologio della morte… invece è solo il povero tarlo che molla craniate sulle pareti della galleria. Non sto scherzando: si sveglia un giorno con l’ormone impazzito e in quella si rende conto di essere in un labirinto e che non troverà mai la sua bella… per la disperazione giù craniate, che i medievali ascoltavano atterriti chiedendosi se magari non avevano anche incrociato un gatto nero e se era vicina la loro ora. Intanto la tarla seguiva le craniate per rintracciare il focoso pretendente e disseminare di nuove bestioline la capanna dei superstiziosi.

E secondo voi quali tarli ci sono nella casa? Ecco. Esatto. Lui: quello grosso, bastardo, che mangia abete, vola e se gli gira vive 20 anni. Hylotrupes baiulus, capricorno delle case. Quel che non è chiaro è se ce ne sono di attivi: i nostri travi hanno superato i 100 anni, quindi non dovrebbero più essere aggredibili da parte sua e fondamentalmente dovrebbe andarsene da solo o morire di fame. Spero che non abbia scoperto lo yogurt col Bifidus.

Tarli I - Millanta e uno travi da salvare


tarlo s. m. [prob. lat. tarmes (v. tarma), incrociato con *cariolus «tarlo»]. (Confermo l’etimologia del Treccani online: il legno tarlato, da noi, è incarolà)
a. Nome con cui sono indicati comunem. gli adulti e le larve di alcuni insetti che vivono nel legno secco o fresco, scavandovi gallerie: sono per lo più coleotteri delle famiglie lictidi e anobidi (danno il nome al social network dei libri, Anobii - il tarlo della lettura) […] sono compresi tra i tarli anche alcuni cerambicidi […]
b. In similitudini, come termine di raffronto di pene segrete e continue: Ché legno vecchio mai non róse tarlo Come questi [Amore] ’l mio core (Petrarca). Quindi, metaforicamente, dolore, tormento continuo e segreto […]

Da mesi è in atto una guerriglia strisciante contro i tarli. Ho scoperto di sapere poco su di loro; quel che è peggio, sono in buona compagnia in questo mare di ignoranza e questo è male: sono un nano abbastanza abile a salire sulle spalle dei giganti, ma se i giganti scarseggiano… per es. per catturare i tarli non c’è traccia di trappole a feromoni (come quelle per le farfalline della farina, per capirsi): strano, mica è un problema solo nostro!
Sono stupita dalla performance dei travi: lì da più di un secolo, chiusi in un controsoffitto per decenni (e l’Ing ce ne avrebbe richiusi una parte senza manco pulirli e dare un po’ di antitarlo), abbandonati per un decennio, la gran parte sono intonsi e quelli attaccati hanno perso solo uno o due cm esterni. È anche impressionante la differenza fra i travi ben fatti, che non hanno un solo buchetto (tagliati e stagionati con la luna giusta? sgrezzati bene?) e quelli malfatti, che sono stati divorati tutto attorno.
Divorati da chi, esattamente? I tarli non li vedi quasi mai e devi capire con chi hai a che fare – e come silurarli – a partire dai danni che trovi. Un po’ NCIS.
Continua.

20.4.11

Ho dormito con un topo sul cuscino


Di pelouche. 
La micia deve avercelo portato stanotte, 
e chissà come si sarà scocciata 
quando non ho risposto 
all'invito a giocare...

Come si è scurita
da quando era piccola!

Mo' meglio che torni
a preparare altri CV...

La Città delle Bambole e l'insospettabile civiltà dei tornanti

Miei cari lettori, pochi ma buonissimi! Accumulata tanta suspence che ormai sconfina nel letargo, rieccomi con le mie ristrutturazioni lavorative, edilizie, personali, esistenziali...
Prima di tutto, un brindisi! Alla mia ritrovata capacità di non credere che quello che mi succede sia del tutto vero, che stia capitando sul serio e proprio a me, di non sentirmi mai al 100% dentro una cosa, un'attività, una bandiera, così non prendo troppo sul serio niente e mi stresso meno. Alziamo i calici per la ritrovata leggerezza! E speriamo che duri.
In questo stato di incoscienza la Nonaddetta si è addetta alla seconda tranche di esercitazioni settimanali per studenti universitari in una ridente cittadina di confine, attività che le permette di coprire affitto e bollette dei primi mesi dell'anno. La cittadina, secondo il tipico gusto locale, sembrerebbe in tutto e per tutto la Città delle Bambole se non fosse che tra le boutique con prezzi stellari, le gallerie d'arte, le case dipinte che vorrei fotografare una per una si aggira una sproporzionata folla di clochard e mendicanti di tutti i tipi che mi riporta bruscamente alla realtà, anzi a una realtà inspiegabilmente peggiore della media.
La Città delle Bambole condivide con la Piccola città la caratteristica di essere in c...apo al mondo. Le belle storie dei crocevia, dei luoghi di passaggio situati sui confini, del conseguente melting pot, dell'apertura mentale, delle contaminazioni fertili ecc ecc valevano quando ci si spostava su mezzi con le zampe o le ruote. Oggidì i crocevia sono gli hub aeroportuali e se il tuo aeroporto ha poche piste rassegnati: persa la via, ti rimane la croce. E come si va da un posto imbucato a un altro posto imbucato?

Il treno, utilizzato per la prima tranche di esercitazioni, circumnaviga le montagne chiedendo 50 euro per un'andata di 5 ore (10 euro/ora) o 20 per 7 ore (2,9 euro/ora). Dato che la paga per gli esercitatori è interessante a patto di risparmiare, la mia scelta cade sul viaggio più lungo. Lati positivi:
- con 7 ore ho tempo di preparare tutto il materiale cartaceo (2 pagine di protocolli e 8 di burocrazia)
- evito di guidare con neve e ghiaccio
- non pago il parcheggio (giacchè le Bambole aborrono i parcheggi gratuiti)
- si possono fare incontri interessanti di cui vi dirò un'altra volta.
Lato negativo: non si fa in giornata e devo partire oggi, fare l'esercitazione domani e tornare dopodomani, soggiornando 2 notti presso una dolcissima famiglia di amici. Senza ghiaccio sulle strade, le 4-5 ore del viaggio in auto consentono di far base dai miei, che stanno a metà strada e son ben felici di vedermi ogni tanto, e passare a salutare gli amici senza approfittare oltre.
La Nonaddetta non è abituata a guidare su strade di montagna. La prima strada provata è ripida e stretta e inanella un tornante dietro l'altro, in salita e in discesa. Attraversa faggete tolkeniane punteggiate di eriche che fanno allargare il cuore. E paesini che il cuore lo fanno restringere subito:  case verticali a tre piani, strette sul bordo di una scarpata verticale affacciate direttamente sulla strada stretta, poi subito una caduta verticale fino a una valle stretta che risale in un'altra rupe verticale. Per carità: solo 600 metri di caduta libera, la maestra mi classificava quest'altitudine ancora come "collina", ma la parola "verticale" si intona più alle Alpi che al Chianti e se abitassi lì soffrirei di vertigini ogni mattina ad aprire la finestra. Su questa strada stretta non incontro auto ma trattori, trattori col rimorchio di legna perché l'epoca del taglio non è ancora chiusa, furgoni delle medicine, scuolabus, camioncini, e non faccio che imprecare contro le strade strette e i tornanti. 

E la foto non rende l'idea...
Subito dopo però mi accorgo che il tornante è figlio della società, è un segno di civiltà, della voglia di socializzare degli esseri umani. Mi anticipano la prima esercitazione: non h14-18 ma h9-13, obbligandomi a pernottare presso la Città delle Bambole, ed essendo il preavviso troppo scarso non oso interpellare gli amici e opto per un agriturismo a soli 2 km dall'università: mi accordo per lasciare l'auto presso l'agriturismo e mi porto la bici assecondando i desiderata della comunità locale... e a questo punto la proprietaria mi avverte che la strada "è un po' ripida". Notevole eufemismo: neanche nei miei peggiori incubi ho affrontato in auto salite del genere, che dovrebbero essere illegali in qualsiasi Paese civilizzato. I tornanti diventano meravigliosi: senza, la salita è tale che se hai la scalogna di nascere in cima non andrai mai a trovare nessuno e nessuno verrà mai a trovare te, e anche comprare il pane o andare a scuola sarà un'impresa. E' solo 1 km ma non finisce mai e a metà mi viene da piangere: la strada è larga abbastanza solo per un'auto, la pendenza segnalata è del 25%, a lato c'è una catena che fa da corrimano per gli improbabili pedoni... e naturalmente non è un senso unico. E devo arrivare proprio in cima. 

Proposta di legge per abolire salite simili!
Quando finalmente arrivo, io e la proprietaria sembriamo due giapponesi: il mio desiderio di studiare il tedesco non è ancora realizzato e così parliamo una specie di italiano sorridendo a più non posso e dicendo sempre di sì mentre nessuna delle due capisce cosa dice l'altra e mancano solo gli inchini frenetici. Abituata ai miei amici e agli oriundi che in università passano con scioltezza dall'italiano al tedesco e viceversa anche nella stessa frase, capisco di colpo che molti, sebbene nati e cresciuti qui, sono rimasti isolati come le comunità cinesi o ghanesi tanto vituperate e tuttora non sono affatto bilingui: misero motivo per invocare  superiorità culturali a fini separatisti invece di chiacchierare con tutti, tessere relazioni e costruire ponti. Resto ancora più perplessa quando non mi fa la ricevuta materializzando l'ossimoro tedesca-evasora. Insomma, gente normalissima. 

Avessi avuto l'unicorno per salire...
Il giorno dopo, esercitati gli studenti, impiego 30 minuti a risalire il km spingendo il velocipede. In cima respiro come un mantice e cerco di concentrarmi sui tulipani tra i filari di viti mentre recupero l'uso della parola in modo da chiedere dell'acqua. In  garage un incauto, contando sull'inaccessibilità del luogo, si sta infilando i calzoni da lavoro: sarà il nonno, io mi giro per non guardare, invece quando esce è l'atletico marito, che imploro imbarazzata di darmi un po' di acqua: per tutta risposta mi indica la canna per innaffiare, a mollo in un bidone pieno di alghe. "La faccia scorrere un po', è potabile". Senti, ho capito che sei erede di montanari tagliati fuori dalla civiltà, ma probabilmente tu oggi giri in bmw, non puoi entrare in casa a prendermi acqua pulita? Invece di dirglielo, geneticamente impedita a insultare chicchessia, riempio la bottiglietta di acqua bollente e brulicante di microrganismi e riparto, pregando di non incrociare un'altra auto perché la retro toccherebbe a me ma non se ne parla proprio...

Confronti

Il Fratello è stato una settimana nella Città Eterna per un congresso e, tornato, ha mirabilmente espresso l'essenza della Piccola Città come si desume dal confronto con la Capitale: qui è incredibilmente piccolo, spazioso, pulito e silenzioso. Voila.