14.9.11

Puntaspilli

Ti hanno minacciato una grandinata. Anche se in questi giorni il tempo è più variabile che sereno certo non sembra promettere grandine all’improvviso, ma la minaccia ha buttato un’ombra sul tuo pezzettino di terra, e nel cuore. E più della desolazione che la grandine, se arrivasse, lascerebbe a terra tra le foglie peste e i frutti uccisi, è odioso il disprezzo che lui, con la sigaretta all’angolo della bocca, ti versa in capo a coronamento della possibile distruzione: che se il tuo orto fosse divelto, sarebbe per giustizia divina perché te lo meriti perché era un brutto orto perché sei un incapace – sul suo, non cadrebbe nemmeno un chicco.
Però tu fischietti quando fai l’orto. Tratti le piantine con gentilezza, te ne prendi cura andando anche un po’ più in là del bordo del tuo orticello, e ogni tanto ti dimentichi che stai vangando perché hai visto una bella farfalla, o una bella nuvola. Se passo di là ci si saluta, magari mi regali due pomodori - e te ne dimentichi subito dopo, ma ti ricordi delle mele che ti ho portato io.
Certo che il suo, orto, è professionale. Non c’è paragone. Ci sbircio dentro se posso, e spesso mi sorbisco interminabili di monologhi sulle sue meraviglie – monologhi, che intervenire, anche solo a monosillabi, è impossibile - a volte reagisce a qualcosa che ho buttato là, ma è già tre frasi più avanti. Lo faccio perché ho un orticello anch’io, ma come te sembro l’hobbysta della domenica. Allora cerco di imparare qualche segreto della sua indubbia arte, mi chiedo quando ha imparato questa infinità di cose, e lo ammiro. E apparentemente ci tiene molto a spiegarmi tutto, proprio tutto.
Ma curiosamente la conclusione è sempre la stessa: quando me ne vado sono svuotata, triste, dubito serissimamente di poter mai combinare qualcosa di buono e da qualche parte monta una sorda aggressività che non so contro cosa sfogare. E capisco che non lo fa per cattiveria ma per fragilità, ma è una fragilità devastante.
Wikipedia, Vegetable garden
E adesso sono qui che temo per il tuo orticello, e ti vedo assentire mortificato e concordare che non sarebbe una gran perdita, non è certo un orto professionale, pazienza. Fanno male a me questi spilli, non so come potrebbero non far male a te, ma non so come difenderti.
Vorrei solo dirti, appena lui se ne sarà tornato ad ammirare il suo regno, ed è indubbio che sia infinitamente migliore dei nostri fazzoletti di terra, dirti che forse non diventeremo mai veri orticoltori ma, se dovessi proprio scegliere, preferisco passare per il vialetto dove ti sento fischiettare, farsi due chiacchiere, regalarti una mela e ripartire mangiandomi un pomodoro un po’ ammaccato, giocando a trovare le forme alle nuvole.

Aggiornamento: dopotutto, per ora non ha grandinato :)

Sgranchirsi le dita dei piedi

Un bagno in cui fare la doccia. Con l'acqua calda.
Una scala con gli scalini invece dei pioli.
Una cucina. Dei mobili in cui mettere i piatti e le pentole, invece degli scaffali di metallo in camera.
L'acqua in cucina, invece che nel bagno al piano terra. Anche calda.
Un piano cottura a gas, con 4 fuochi, invece del fornellino da campeggio con un fuocherello solitario.
Il copriletto ricamato dalla nonna, di cui finalmente dopo anni capisci la bellezza. Magari è il caso di dirglielo.
Un inatteso mese di ferie.
Passare il mese di ferie facendo lavori alla Casa, beneficiando dell'aiuto di parenti e amici.
Inaugurare il barbecue per i parenti e gli amici.
Interrompere il mese di ferie-lavoro per un matrimonio. Aspettarne un altro in settembre.
Parlare un po' con tre mamme-in-attesa. Felici, spaventate, pazze di ormoni, stanche, curiose.
Passare da soli, io e il Nonaddetto, quasi tutti i giorni dell'ultima settimana del mese di ferie-lavoro.
Tornare alla Foresteria e scoprire che la Dracena e la Pachira non sono ridotte a un seccume mummificato ma sono fresche come se le avessi lasciate il giorno prima. Consigliatissime.
Ritrovare facce felici a ricordare le vacanze, e altre che per esorcizzare un po' di malinconia si sbottonano un po' a raccontare di casa.
Assaggiare dolcetti tunisini, dolcetti egiziani, dolcetti iraniani e cioccolato svizzero e di Modica in una specie di follia collettiva di festicciole di rientro.
Regalare cioccolato e vedere i sorrisi delle persone che non si aspettavano di riceverlo davvero.
Sentirsi offrire piantine per il giardino. O frutta.
Fare due parole con una persona che finora avevi solo salutato passando.
Scoprire con incredulità che il paesaggio ti sembra di nuovo bello, belli gli ippocastani cresciuti a formare un'unica enorme chioma come una coppia dopo tanti anni di matrimonio, bello il cielo, belli i colori.
Spedire mail a persone che non vedi da molto e ricevere una bella risposta.
Leggere un bel libro.
Averne una pila che aspetta.
Scoprire un'associazione dall'altra parte del mondo che lavora in un Paese che ti sta a cuore e sperare che pian piano si costruirà una rete.
Scoprire un video che ti piace per una canzone che ti piace.
Comprare piccole meravigliose piastrelline fatte a mano in USA e ricevere il pacco.
Trovare altre piastrelle per la Casa. Finalmente quelle giuste. Al prezzo giusto.
Destinare le piastrelline artigianali a quadretti, e intanto prenderci gusto a chiacchierare via mail con chi le ha fatte.
Ricevere dei CD che ti piacevano tanto e ti mancavano.
Vedere i lavori alla Casa progredire con ritmo lento o serrato, ma progredire sempre.
La micia che quando torni al venerdì inizia a miagolare che sei ancora in cortile e poi si arruffiana fino alla mattina successiva, dormendo ai tuoi piedi.
Ricordarsi di quell'amico, marito di amica e ora papà di tre, che ti diceva scherzando: la vie c'est fantastique, pourquoi tu te la complique?

Ah non era proprio così? OK. Il dialogo vero, bellissimo, tra i due angeli del cielo sopra Berlino è circa questo...


Damiel: È  bello vivere di spirito, testimoniare per l’eternità soltanto quello che c’è di spirituale nella mente degli uomini. Ma a volte sono stanco della mia esistenza spirituale. Invece di aleggiare sempre lassù vorrei sentire un peso crescere in me per porre fine all’infinito e legarmi alla terra. Vorrei essere capace, a ogni passo, a ogni soffio di vento, di dire “ora”, “adesso”, e non più “per sempre” e “per l’eternità”. Sedermi a un tavolino ed essere salutato, anche solo con un cenno. Ogni volta che abbiamo preso parte alle cose umane, era per finta. La lotta con un uomo, l’anca lussata: per finta. Prendere un pesce: per finta. Sedersi a tavola, mangiare e bere: per finta. Agnello arrostito e vino, là nelle tende nel deserto: soltanto per finta. No, non chiedo di piantare un albero o di concepire un figlio, mi basterebbe tornare la sera dopo una lunga giornata e dar da mangiare al gatto, come Philip Marlowe. Avere la febbre. Le dita annerite dal giornale. Commuovermi non soltanto con la mente, ma per la linea di una nuca, per un orecchio. Mentire! Sfacciatamente! Sentire le ossa che si muovono con te mentre cammini. Tirare a indovinare, invece di sapere sempre tutto. Poter dire “aah”, “oh”, “ehi”, invece di “sì” e “amen”.

Cassiel: essere capace, per una volta, di entusiasmarsi per il male. Tirare fuori dai passanti tutti i demoni della terra e scacciarli nel mondo. Essere selvaggi.

Damiel: O almeno sapere che cosa si prova a togliersi le scarpe sotto il tavolo e sgranchirsi le dita dei piedi.