20.4.11

La Città delle Bambole e l'insospettabile civiltà dei tornanti

Miei cari lettori, pochi ma buonissimi! Accumulata tanta suspence che ormai sconfina nel letargo, rieccomi con le mie ristrutturazioni lavorative, edilizie, personali, esistenziali...
Prima di tutto, un brindisi! Alla mia ritrovata capacità di non credere che quello che mi succede sia del tutto vero, che stia capitando sul serio e proprio a me, di non sentirmi mai al 100% dentro una cosa, un'attività, una bandiera, così non prendo troppo sul serio niente e mi stresso meno. Alziamo i calici per la ritrovata leggerezza! E speriamo che duri.
In questo stato di incoscienza la Nonaddetta si è addetta alla seconda tranche di esercitazioni settimanali per studenti universitari in una ridente cittadina di confine, attività che le permette di coprire affitto e bollette dei primi mesi dell'anno. La cittadina, secondo il tipico gusto locale, sembrerebbe in tutto e per tutto la Città delle Bambole se non fosse che tra le boutique con prezzi stellari, le gallerie d'arte, le case dipinte che vorrei fotografare una per una si aggira una sproporzionata folla di clochard e mendicanti di tutti i tipi che mi riporta bruscamente alla realtà, anzi a una realtà inspiegabilmente peggiore della media.
La Città delle Bambole condivide con la Piccola città la caratteristica di essere in c...apo al mondo. Le belle storie dei crocevia, dei luoghi di passaggio situati sui confini, del conseguente melting pot, dell'apertura mentale, delle contaminazioni fertili ecc ecc valevano quando ci si spostava su mezzi con le zampe o le ruote. Oggidì i crocevia sono gli hub aeroportuali e se il tuo aeroporto ha poche piste rassegnati: persa la via, ti rimane la croce. E come si va da un posto imbucato a un altro posto imbucato?

Il treno, utilizzato per la prima tranche di esercitazioni, circumnaviga le montagne chiedendo 50 euro per un'andata di 5 ore (10 euro/ora) o 20 per 7 ore (2,9 euro/ora). Dato che la paga per gli esercitatori è interessante a patto di risparmiare, la mia scelta cade sul viaggio più lungo. Lati positivi:
- con 7 ore ho tempo di preparare tutto il materiale cartaceo (2 pagine di protocolli e 8 di burocrazia)
- evito di guidare con neve e ghiaccio
- non pago il parcheggio (giacchè le Bambole aborrono i parcheggi gratuiti)
- si possono fare incontri interessanti di cui vi dirò un'altra volta.
Lato negativo: non si fa in giornata e devo partire oggi, fare l'esercitazione domani e tornare dopodomani, soggiornando 2 notti presso una dolcissima famiglia di amici. Senza ghiaccio sulle strade, le 4-5 ore del viaggio in auto consentono di far base dai miei, che stanno a metà strada e son ben felici di vedermi ogni tanto, e passare a salutare gli amici senza approfittare oltre.
La Nonaddetta non è abituata a guidare su strade di montagna. La prima strada provata è ripida e stretta e inanella un tornante dietro l'altro, in salita e in discesa. Attraversa faggete tolkeniane punteggiate di eriche che fanno allargare il cuore. E paesini che il cuore lo fanno restringere subito:  case verticali a tre piani, strette sul bordo di una scarpata verticale affacciate direttamente sulla strada stretta, poi subito una caduta verticale fino a una valle stretta che risale in un'altra rupe verticale. Per carità: solo 600 metri di caduta libera, la maestra mi classificava quest'altitudine ancora come "collina", ma la parola "verticale" si intona più alle Alpi che al Chianti e se abitassi lì soffrirei di vertigini ogni mattina ad aprire la finestra. Su questa strada stretta non incontro auto ma trattori, trattori col rimorchio di legna perché l'epoca del taglio non è ancora chiusa, furgoni delle medicine, scuolabus, camioncini, e non faccio che imprecare contro le strade strette e i tornanti. 

E la foto non rende l'idea...
Subito dopo però mi accorgo che il tornante è figlio della società, è un segno di civiltà, della voglia di socializzare degli esseri umani. Mi anticipano la prima esercitazione: non h14-18 ma h9-13, obbligandomi a pernottare presso la Città delle Bambole, ed essendo il preavviso troppo scarso non oso interpellare gli amici e opto per un agriturismo a soli 2 km dall'università: mi accordo per lasciare l'auto presso l'agriturismo e mi porto la bici assecondando i desiderata della comunità locale... e a questo punto la proprietaria mi avverte che la strada "è un po' ripida". Notevole eufemismo: neanche nei miei peggiori incubi ho affrontato in auto salite del genere, che dovrebbero essere illegali in qualsiasi Paese civilizzato. I tornanti diventano meravigliosi: senza, la salita è tale che se hai la scalogna di nascere in cima non andrai mai a trovare nessuno e nessuno verrà mai a trovare te, e anche comprare il pane o andare a scuola sarà un'impresa. E' solo 1 km ma non finisce mai e a metà mi viene da piangere: la strada è larga abbastanza solo per un'auto, la pendenza segnalata è del 25%, a lato c'è una catena che fa da corrimano per gli improbabili pedoni... e naturalmente non è un senso unico. E devo arrivare proprio in cima. 

Proposta di legge per abolire salite simili!
Quando finalmente arrivo, io e la proprietaria sembriamo due giapponesi: il mio desiderio di studiare il tedesco non è ancora realizzato e così parliamo una specie di italiano sorridendo a più non posso e dicendo sempre di sì mentre nessuna delle due capisce cosa dice l'altra e mancano solo gli inchini frenetici. Abituata ai miei amici e agli oriundi che in università passano con scioltezza dall'italiano al tedesco e viceversa anche nella stessa frase, capisco di colpo che molti, sebbene nati e cresciuti qui, sono rimasti isolati come le comunità cinesi o ghanesi tanto vituperate e tuttora non sono affatto bilingui: misero motivo per invocare  superiorità culturali a fini separatisti invece di chiacchierare con tutti, tessere relazioni e costruire ponti. Resto ancora più perplessa quando non mi fa la ricevuta materializzando l'ossimoro tedesca-evasora. Insomma, gente normalissima. 

Avessi avuto l'unicorno per salire...
Il giorno dopo, esercitati gli studenti, impiego 30 minuti a risalire il km spingendo il velocipede. In cima respiro come un mantice e cerco di concentrarmi sui tulipani tra i filari di viti mentre recupero l'uso della parola in modo da chiedere dell'acqua. In  garage un incauto, contando sull'inaccessibilità del luogo, si sta infilando i calzoni da lavoro: sarà il nonno, io mi giro per non guardare, invece quando esce è l'atletico marito, che imploro imbarazzata di darmi un po' di acqua: per tutta risposta mi indica la canna per innaffiare, a mollo in un bidone pieno di alghe. "La faccia scorrere un po', è potabile". Senti, ho capito che sei erede di montanari tagliati fuori dalla civiltà, ma probabilmente tu oggi giri in bmw, non puoi entrare in casa a prendermi acqua pulita? Invece di dirglielo, geneticamente impedita a insultare chicchessia, riempio la bottiglietta di acqua bollente e brulicante di microrganismi e riparto, pregando di non incrociare un'altra auto perché la retro toccherebbe a me ma non se ne parla proprio...

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