30.11.11

Inverno


Nebbia.
A volte è un effetto speciale, trasforma i campi in un palcoscenico coperto da un tappeto di fumo, ciuffi di erbe spuntano scuri, il paesaggio è teatrale.
Più spesso, solo una nuvola al posto sbagliato. Una pietra che non puoi prendere a calci, sulla strada e sull’umore. Incredula, non ci vedo più, neanche i più grossi edifici. Forse appena pochi metri più in alto il sole splende e il cielo è blu? Ma noi languiamo qui sotto, sognando di avere le ali. Una mattina un po’ di sole illumina il frutteto che spunta dalla foschia, a uno a uno tutti entrano nella sala comune eccitati e febbrilmente, invece di “buongiorno”, dicono “hai visto? c’è il sole!”. Noi, italiani tunisini egiziani portoghesi turchi iraniani, tutti non siamo abituati a questo mondo scomparso e ci mancano il sole, i colori. Che posto è questo? Chi vive qui come fa? Sarà così per tutto l’inverno?

Nebbia anche negli occhi. I miei, quelli degli altri. La Foresteria è cambiata. Le persone hanno subito una metamorfosi che non capisco. Solo qualche mese fa li guardavo, i sorrisi, la scioltezza, le canzoni, i balli, erano pieni e sicuri di sé, il presente un trampolino per il futuro, al confronto mi sentivo tirata, un cucchiaio di nutella spalmato su una fetta di pane troppo grande, mi veniva voglia di ingrassare per cercare di somigliar loro un po’, di fare un po’ di luce anch’io. Io sono ancora uguale, la brace aspetta sotto la cenere, ma altri sono crollati. Tic, pianti che arrivano dalle porte chiuse, mani che stringono spalle cercando di farsi argine, brutti attacchi di asma da stress – l’aria fredda non aiuta –, facce tirate, qualche assenza al lavoro, litigi, esplosione dei gruppetti. Sarà l’effetto stalla, adesso siamo tanti e altri arriveranno, che acuisce gli spigoli di questa vita in prestito. Tutti hanno gli affetti lontani, il riscaldamento è avaro, ci si sente trattati con sufficienza, ci manca il sole. Per fortuna poi si infilano sotto le coperte tutti insieme e si incantano a guardare Happy Feet.

Sono stata alla Città delle Bambole ieri. Il cielo era blu, le montagne brillavano, nei boschi si mostravano i larici di miele sullo sfondo brillante degli abeti uguali a se stessi. Non ho acceso la radio e ho contemplato la meraviglia per tutto il viaggio.
I miei due (! la decimazione da triennale a specialistica) studenti sono diventati bravi. Hanno visto il grafico degli studenti precedenti: non avevano potuto fare bene perché erano troppi. Un’immagine val più di mille parole? Hanno capito. Hanno preparato bene le soluzioni e pipettato con cura, la cinetica enzimatica è riuscita a meraviglia.
Servirà mai loro a qualcosa? Spero che almeno si ricorderanno che l’importante è sbagliare. Vedere cosa succede se non segui il protocollo, capire l’importanza di ciascun passaggio perché lo si è trasgredito – o lo si è visto trasgredire, e anche attraverso l’errore padroneggiarlo.

Non sono tornata alla Piccola Città per il weekend, nè il Nonaddetto e la gatta sono venuti dai miei. Non ho potuto vederli. Sabato giravo in veste di gnomo per trovare i regali per cuginetti e nipotini: ohibò! Con i 2 nascituri, quest’anno siamo a 12! È meglio cercare le offerte speciali… ma quanto è bello fare regali ai bambini? Il Nonaddetto dava malta fina attorno ai travi, correggendo i danni della sabbiatura.
La casa, con dentro il Nonaddetto e la gatta, la mia famiglia e i pochi ma buoni amici che ho lasciato sparsi per due regioni sono l’ancora che impedisce a Icaro di bruciarsi le ali, e mi mancano, anche se c’è chi mi chiama privilegiata perché li ho a portata di auto – ma a dirmelo non sono quelli che i cari li hanno solo a portata di aereo: un sacrificio è un sacrificio, contare il numero di sere che puoi cenare a casa e scoprire che il tuo è il numero più piccolo è un’amara soddisfazione, e non ti rende nemmeno più meritevole. Tratta ciascuno con delicatezza perché non puoi sapere quanto e come pesa il sacrificio che ognuno fa, è la regola non scritta che si cerca di rispettare – effetto stalla permettendo.
Io lo faccio adesso, di stare lontana, solo perché è un periodo limitato, solo perché penso che non ci sarà un seguito, spero di non dover mai discutere se accettarlo nel caso avessimo figli. C’è chi, dall’alto del suo successo professionale, mi ha ferita giudicandomi per non aver seguito il consiglio di non interrompere una carriera (ma quale?) “per un ragazzo”. È una storia per un’altra volta. Credo che stiamo guadagnando soldi che ci servono, credo che stavo impazzendo senza un lavoro, ma credo che stiamo anche perdendo cose che non riavremo mai e non voglio che questo conto si allunghi troppo.
Perché il viaggio tra la Piccola Città e questo impero della nebbia lo puoi pagare col bancomat, sempre che gli irresponsabili che governano il mondo non mandino tutto a gambe all’aria. L’affitto della stanza, pure. Ma chi saprebbe dare un prezzo al bacio quando ci si rivede, al leggere sul viso i segni dei pensieri, alla cena preparata insieme, al parlare della giornata che è passata e di quella che deve venire, all’addormentarsi vicini?

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