7.3.12

Spigoli


È successo a 18 anni.
L’ultimo anno delle superiori. Scegliere l’università. Quasi tutti vanno nella stessa, è prestigiosa, vicina, ci vanno gli altri e così ci si vedrà ancora. Anch’io ci vorrei andare. Io da sempre senza migliori amiche, timida a volte scambiata per snob, con un piccolo animale selvatico che mi vive dentro e che si trasmette, non visto, come eredità familiare di storie dolorose troppo vecchie ma evidentemente non ancora abbastanza sbiadite, una bestiolina curiosa di interazioni ma conscia di essere quella debole e di voler sopravvivere, così facile da spaventare, fai un movimento brusco e sparisce nel bosco, non la vedrai più. Io che ostinatamente cerco e frequento qualche bolla felice in cui guardo incredula le persone prendersi cura, con assoluta naturalezza, le une delle altre, al meglio delle loro possibilità o almeno in buona fede, e cerco di imitarli. Ma non sono gruppi totalizzanti - che rifuggo: non mi proteggono dall’esterno, mi concedono una pausa di qualche ora ma il resto della vita è un problema mio, com’è giusto. E io nel mondo normale raramente riesco a bucare la buccia mia e altrui, e se succede finalmente ci si parla e ci si capisce un po’ e ci si dice a vicenda ah guarda, davvero non avevo capito niente di te, ti credevo predatore ma eri anche tu come me.
 
Io che non ho mai davvero legato con nessuno, ho improvvisamente paura di perdere quelle persone, che nonostante le bucce avevo sentito un po’ più vicine dei classmates delle elementari e medie. Quelli mi avevano rifilato anni soffocanti, sopportati supportando chi era colpevole di una qualsiasi diversità e incapace di difendersi perché ancora meno aggressivo di me. Credo succeda lo stesso a parecchie persone. Qualcuno si era permesso di mettere una pubblica lapide sulla mia futura vita sentimentale, urlandomi in cortile “è inutile, non piacerai mai a nessuno!”. Mi accorgo che non mi ricordo più di preciso chi fosse.
 
Avevo reagito comunicando il meno possibile per tutti quegli anni, aspettando che passasse. Era passata, avevo incontrato persone vagamente più simili a me, che avevano voglia di fare qualcosa e di vedere il mondo, mi avevano concesso 5 anni di ricreazioni piuttosto solitarie o in compagnia caritatevole, questa volta con me nei panni della mendicante, ma anche molte ore passate a ridere sottovoce battagliando con navi o auto da corsa sui fogli a quadretti. Avevano anche bellamente ignorato la profezia sentimentale. E adesso so che li perderò e piango.
 
Per la prima volta piango per qualcuno, e nessuno si accorge che è la prima volta che mi succede. Non avevo pianto nemmeno per la morte del nonno, avrei voluto sentire qualcosa ma non avevo potuto sentire niente. Quando ho chiuso la mia prima ingenua storia, per un anno non ho voluto sentire canzoni d'amore, ma non ricordo di aver pianto.
 
I miei mi spronano a non lasciarmi legare, vedrai che in un anno si saranno già persi di vista, conoscerete tante altre persone, vai più lontano, in qualche posto più aperto, più umano (averne, di genitori così!). Ed è vero almeno in parte, nessun posto è perfetto ma ricordo quel primo anno come una elettrizzante sequenza di giorni pieni di vita. Ma non lo sapevo, sapevo solo la mia improvvisa inaspettata paura di perdere quelle persone. Dal momento in cui divento cosciente di quella paura mi capita di piangere altre volte. Un’assemblea d’istituto comprende Dead Man Walking e io piango per la prima volta davanti a un film.
 
Di sicuro dentro me c’è molto lavoro per riparare la crepa nella mia corazza, perché di lì stanno entrando quelle cose che mi fanno piangere. Cose piccole, non sono cose di salute quindi sono cose da niente, eppure quanti adulti non hanno mai imparato a gestire la paura di restare soli, di non essere capiti, di non riuscire a capire, e si sono semplicemente tenuti al riparo delle loro corazze.
  
E contemporaneamente.
 
Mio fratello ai primi anni nella mia stessa scuola. Gioca online con qualche amico: questi ragazzi per me sono facce intraviste nelle foto di classe e minuscoli cavalieri che corrono per lo schermo, coi loro soprannomi che li rincorrono appesi all’elmo.
 
Poi.
Uno di loro, e un tir.
 
Il motorino, la vicinanza, la turbolenza, un tentato sorpasso, chi lo sa. Andava a vedere una ragazza, andava in giro, chi lo sa. Un tir e un corpo di ragazzo, impossibile sperare.
 
Questa cosa si è infilata nella mia crepa e lo sbarramento è esploso. Sento il dolore. Lui. I suoi genitori. Amici. La ragazza che lo aspettava. Il paese. I vicini. I professori. Mio nonno. I bambini "diversi". Tutti. Tutto. Di botto sono una stazione radio sintonizzata sul canale del mondo che piange. È difficile da dire e da credere, ma per qualche giorno non riesco a smettere di piangere, dai miei occhi vorrebbe uscire tutto quello, mio o altrui, che non era uscito nei miei pochi anni. Mi dico che se esiste Dio deve conoscere tutto il dolore del mondo e mi chiedo come possa non morirne. Forse solo perché conoscerà anche tutta la gioia. Piano piano riesco a controllare la piena, ma non dimentico come si piange.
 
Adesso, se mi si trasmettono emozioni io le ricevo. Non solo tristemente! Era difficile chiudere la porta alle emozioni dolorose e lasciar voce a quelle piacevoli. Ho iniziato a comunicare con gli altri, a mostrare loro me stessa e a vedere loro. A vedere che parecchi girano corazzati. Se si può arrivare a 18 anni essendo gentili ma distaccati, riuscendo a non farsi quasi mai toccare, immagino si possa continuare per tutta la vita. A volte manca ancora naturalezza nelle mie interazioni, e tantomeno sono scomparsi i miei difetti, ma vedo da sola che molte cose sono migliorate e so che continuo a imparare. Il piccolo animale si spaventa con meno facilità. È stato morso e ha avuto conferma della sua vulnerabilità, ma ha anche visto che è sopravvissuto bene e che è, di solito, svelto a guarire. Non ho ancora mai pensato che fosse meglio prima.
 
Se potessi riporterei indietro il piccolo cavaliere che correva sullo schermo. Certo nessuno dei suoi immagina che abbia dato un colpo per cui la mia corazza è stata fatta a pezzi al punto che non ho potuto ripararla più di tanto.

4 commenti:

  1. "Era difficile chiudere la porta alle emozioni dolorose e lasciar voce a quelle piacevoli." come ti capisco.

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    1. ci credo. ho imparato che non era vero che sono un marziano, quello che provo e penso io ci sono di sicuro molte altre persone a provarlo e pensarlo.. lo sai anche tu, vero, specialmente nei momenti in cui suppongo ti capita di sentirti un marziano?

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  2. Mi sento quasi chiamata in causa.. Spero di non averti né offesa né ferita con il mio commento sintetico.
    Bello il tuo post, molto difficile, a dir la verità. Ho una cara amica che per certi versi mi sembra ti assomiglia e non so decifrarla, però le voglio bene e anche tanto.
    Lasciare i varchi nella corazza... sì, soffrire ma anche gioire. Sai anche io, nella mia adolescenza ero un mezzo orso (mi ricordano anche come suora, capirai!) con una solitudine incolmabile, senza migliore amica, confortata da mille studi (pianoforte, tedesco, liceo, infatti stavo schiattando!). Infatti mi sono ammalata di anoressia, perché non si può nutrirsi di dolore. E purtroppo la storia è andata avanti e non è finita...
    Quando mia madre era agonizzante per il cancro sono riuscita a dirle che le volevo bene, e lei mi ha risposto con affetto, cosa inaudita nella nostra relazione. E' stato difficile ma mi ha aperto il cuore, questo in un certo senso mi riporta a te.
    ps. mentre scrivo mi viene da piangere, mi sono confidata con una sconosciuta come te che però mi ispira fiducia e nello stesso tempo fa rivivere in me dolori che speravo di aver seppellito...Scusami...

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    1. aiuto. non mi hai offesa né ferita, scherzi, solo dato un feedback aggiuntivo sul fatto che in questo periodo non è facile prendermi per il verso giusto, e mi spiace per chi mi sta intorno. ma (stavo scrivendo "di sicuro" ma è una delle espressioni assolute che cerco di evitare) credo che tutto quello che potrei scrivere io non sia neanche lontanamente paragonabile a quello che hai passato tu. le mie piccole magagne sono piccole proprio grazie a quella bestiola selvatica e al suo animalesco istinto di sopravvivenza, che fiuta da lontano alcuni dei più pericolosi abissi umani e li rifugge; e derivano da dolori simili ai tuoi, ma vecchi di una o due generazioni (e prima, chi lo sa cosa c'era), eppure riescono ancora a ferire passando da genitori a figli a nipoti; non oso pensare quanto debbano essere intensi vissuti senza diluizione. e mi spiace molto girare il coltello nella piaga! mi dispiace far star male qualcuno, e non so come gestirlo! che posso fare adesso? non pensavo, forse non pensavo a niente quando ho scritto, se non che non ero sicura che sia una buona idea mettersi in piazza su un web che non dimentica; però se porta un contatto tra persone, forse ne vale comunque la pena. non so cosa significa che quella tua storia non è finita, spero che se sei riuscita a creare una tua famiglia e a mostrare l'affetto che provi tu ti riconosca che hai dato una enorme prova di... capacità di vita. se mi rifaccio all'esperienza dei miei, vedo che tra i loro fratelli sono stati gli unici a decidere di credere in altre persone al punto da condividere con loro tutta la vita, ostinandosi a cercare di avvicinare ogni distanza, pur nei limiti delle loro capacità, e a perseguirlo fedelmente, e questo loro ideale sembra averli salvati. gli altri fratelli, quelli che non hanno voluto - o hanno provato ma di fronte alle distanze si sono arroccati - sono per ora (c'è sempre possibilità di cambiare) uno spettacolo che spezza il cuore e da cui è perfino, purtroppo, necessario difendersi. i miei hanno potuto invece attenuare le eredità negative, e se io e i miei fratelli riusciamo a fare altrettanto, prima o poi potranno sparire. per quello che è possibile capire non conoscendoti se non attraverso poche righe, direi che anche tu sei riuscita a fare a pezzi parecchi muri, alla faccia della loro imponenza. tutta la mia ammirazione! e il mio pensiero affettuoso. dai un bacino a Lui e alla bimba e sorridi, tu fai del tuo meglio e il resto lo farà ben qualcun altro.
      (mi viene in mente Mma Ramotswe, dei libri di McCall Smith. Letture semplicissime e che però hanno dentro l'eco di qualcosa che mi cura. Dovrei scrivere un po' di alcune persone che ho conosciuto, e del pezzo di anima che ci manca, a noi qui in europa. coraggio! è sciocco come io non trovi molto per cui valga la pena alzarsi dal letto in questo periodo, eppure appena una persona mi mostra così il suo lato fragile all'improvviso vedo tutto, il mondo diventa montalianamente trasparente e vedo anche il bene di vivere, e non so cosa darei per comunicarlo. c'è, c'è, vale la pena! e basta vederlo un momento per andare avanti a lungo. grazie. graziegraziegrazie, adesso devo riuscire a scrivere qualcosa di incoraggiante, devo proprio ricambiare)

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