19.8.11

Al fiume

Conosco una famiglia con tre figli:
- NumeroUno, famoso per essere tranquillo come uno tsunami;
- NumeroDue, guanciotte tonde e codine bionde, degna sorella di suo fratello;
- NumeroTre, ciliegina sulla torta.

Per qualche hanno ho fatto l'animatrice di frontiera al loro paesello. Dico di frontiera perché il paesello sta a circa 700 m slm, quindi è "là sui monti" ben contrapposto a "qua in piano", e tra "i monti" e "il piano" (che sta a 300 m slm) non corre troppo buon sangue.
I genitori di NumeroUno-Due-Tre sono ottimi rappresentanti, non senza buone ragioni, di questo campanilismo all'ennesima potenza, dove la cittadozza che ha amministrativamente fagocitato il paesello mal lo sopporta ("quei montanari") e il paesello fagocitato non sopporta affatto la cittadozza ("ci hanno chiuso la posta e vorrebbero chiudere pure la scuola? E comunque il nostro carro di carnevale vince sempre la sfilata"). In questo contesto, per un pianuricolo avventurarsi al paesello può presentare alcuni rischi più o meno velati.

Io ero chiamata a rimpolpare l'esiguo numero di animatori disposti a offrire un'attività socializzante che i ragazzini potessero fruire senza doversi spostare nella cittadozza. Nel gruppo c'erano sia NumeroUno che NumeroDue, mentre il terzo stava ancora sulla nuvoletta in attesa di venire giù.
Ho iniziato a recarmi al paesello ogni sabato pomeriggio e ogni volta venivo picchiata. Dai bambini. Capitemi, i più grandini delle elementari hanno una stazza paragonabile alla mia, alle medie parecchi mi superano. E la lotta è impari: io non posso picchiare loro o rischio la denuncia.
NumeroUno era tra i picchiatori, nonostante mi conoscesse da quando senza dubbio la più alta ero io. Durante le "attività" non stava fermo un secondo facendo venire il mal-di-mare-in-montagna a tutti gli altri, comuni mortali, che perdevano il filo della storia per colpa sua mentre lui la seguiva sempre benissimo - anche a testa in giù, strisciando sotto una sedia o passando e assestandoti un calcio o un pugno. Finché, illuminata, gli ho detto "Ma NumeroUno, se mi picchi mi fai male e se mi fai male io penso che non mi vuoi bene". Ha spalancato gli occhi e ha smesso.
Gradualmente mi hanno accettata tutti e alla fine eravamo come panna e cioccolato. Quando me ne sono andata mi hanno scritto una letterina commoventissima che ho ancora incorniciata e appesa.

Anni dopo ho reincontrato NumeroUno durante le feste natalizie: babysitterava NumeroTre cercando evitare che si infilasse sotto le auto che giravano per il piazzale, o che falciasse correndo le vecchiette che cercavano di arrivare presto al caldo. Mi ha detto:
"NumeroTre non sta fermo un secondo e bisogna corrergli dietro in continuazione, anche a casa, sempre di corsa e io certe volte mi sento stanco..."
NumeroUno! Quello che sfiniva tutti una volta eri tu! Oh-oh... mi si è un po' stretto il cuore perché ho visto che stava diventando grande.

Brian Stansberry da Wikimedia commons e lakdasun.com
Forse crescere vuol dire perdere quell'energia esplosiva e incontenibile. Ma conto, dato che l'energia non si crea e non si distrugge, che si limiti a trasformarsi in un'energia più incanalata, a volte forse sotterranea, ma potenzialmente più possente. Spero che NumeroUno, e non solo lui, adesso che non è più una sorgente che saltella e ti spruzza, trovi un bel modo, il suo modo, di essere un fiume: placido tranne qualche piena, e con tutta l'acqua necessaria per la vita di molti.

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