Dopo la
prima micro visita alla città, la suora che ci fa da guida e body guard decide che siamo pronte per visitare un bairro.
Cosa vuol dire? Quartiere.
Ma lo dici come se indicasse solo quei quartieri-baraccopoli che abbiamo intravisto dall'aereo, il centro città non è un bairro? Non l'ho mai saputo.
Il toyota ci porta fuori dalle strade asfaltate, non ricordo proprio dove parcheggiamo, ed eccoci scese... come dire? Qui siamo davvero fuori dalla boccia dei pesci rossi. Qui è "l'altro mondo", quello che tutti sappiamo esistere ma generalmente non vediamo mai - se non in immagini di repertorio sullo sfondo di un servizio al tiggì: ma prima di avere il tempo e la voglia di farci qualche domanda, arriva il servizio sul nuovo trend di stagione, e ci scordiamo del resto. Questo resto adesso ci circonda, noi quattro giovani bianche pulite. Se riapro lo scarno diario di quei giorni ritrovo, registrate, le stesse identiche sensazioni che ho vive in mente; uno dei pochi casi in cui la mia memoria è affidabile. Mi sento in imbarazzo. Le altre o mostrano a loro volta di essere impacciate, oppure sono estremamente disinvolte - estrazione degli occhiali da sole dalla custodia, pulizia delle lenti, occhiali inforcati e via. La gente ci ignora, ma tutti registrano la nostra presenza insolita; la suora ce lo dice, i bianchi non bazzicano molto per i bairri. Loro, le suore, se non altro non sono facce nuove, ma noi sì. Vorrei poter cogliere tutti i dettagli che mi stanno intorno - le strade di terra battuta o fango, a seconda del tempo, le baracche di diversi tipi, le persone, il loro abbigliamento, le loro occupazioni, le voci, gli odori - ma non oso guardare, mi sento un'intrusa invadente, ho la pelle gli occhi i capelli chiari, i miei vestiti sono umili ma certo senza buchi nè macchie, nessuno mi conosce e ha idea del perchè sia lì ma è palese che non appartengo al luogo, non ho detto "Buongiorno, è permesso?" e dunque cerco almeno di non esagerare.
In effetti non c'è una sola faccia amichevole nei dintorni. Se incontriamo sguardi, sono scontrosi e diffidenti.
Chi sono questi bambini? Sono tutti fratelli, o parenti, oppure no? Cosa fanno, la guardia al grano messo ad asciugare, o cos'è quella roba sulla stuoia? E la legna? L'hanno preparata loro? Per usarla e venderla? Sembrano passarinhos, uccellini, in gabbia dentro il recinto pur lasco della baracca... cosa staranno pensando che siamo?
Non ci sono intenti artistici nella modifica della foto, solo la
speranza di rendere i protagonisti un po' meno riconoscibili. Sono grata alle mie compagne di viaggio per aver scattato qualche foto più di me nei bairri; io ero a disagio e ho fotografato solo in quei rari momenti in cui pensavo che non ci fosse nessuno in giro. Ne abbiamo parlato, poi, e non
l'avremmo presa bene se un giapponese o uno statunitense fosse arrivato
davanti a casa nostra, avesse fatto foto alla casa e a noi, e se ne
fosse andato... Inoltre quasi sempre i soggetti delle foto sono bambini. La
privacy vale solo per noi? Sono passati anni e questi ragazzini sono -
spero - cresciuti, e nella mia stessa esperienza è difficile riconoscere
in foto le persone che cambiano in fretta; non ho intenzione di mancar
loro di rispetto e spero di non farlo involontariamente.
La suora però è partita in quarta e ci porta a conoscere un paio di persone. Che abitano qui:
E' una delle baracche peggiori, non difende bene nè dal sole nè dalla pioggia, non protegge dalle zanzare, non è solida, non è salubre, non ha bagno nè servizi di alcun tipo - l'acqua in casa non credo l'abbia nessuno, ma si può avere la luce. Ci abita una ragazzina, piccola, timida e taciturna, difficile da far sorridere. E' magra e tubercolotica e si deve prendere cura del fratello con un ritardo mentale. Sono rimasti orfani. Non ho idea di come potrebbero sbarcare il lunario senza un piccolo sostegno delle suore e, mi auguro, di altre persone che li conoscono. Non hanno altri familiari? Qualcuno almeno porta loro un po' di aiuto, se non li prende in casa? Le cure per la tubercolosi non sono gratuite? Quanto è grave la sua forma, risponde alle cure? ... si cura, vero? La aiutate a curarsi?
In questo momento eravamo talmente a disagio che non solo io, ma nessuna di noi riusciva a pensare di fotografare. E' la suora che ha preso di forza una delle nostre macchinette e ha fatto foto, quasi con rabbia, perchè potessimo ricordare senza scuse e potessimo condividere. Allora condivido, sempre sperando di non far male, anzi come se fosse un ordine morale, un po' - si può dire? - come "Se questo è un uomo": ricordate e insegnatelo ai vostri figli, altrimenti siate maledetti.
Mentre venivano scattate queste foto ricordo nettamente di aver guardato il fango là intorno e la gente sospettosa, e noi a far le giapponesi, e di aver pensato "Un mese qui sarà molto lungo". E' stata la prima ed unica volta in cui ho seriamente dubitato che fosse stata un'idea sensata intraprendere questo viaggio.
Lasciamo i fratelli e continuiamo a girare per il bairro. Qui le baracche sono migliori, hanno un'ossatura di pali di legno riempiti con pietre - una capacità termica molto maggiore rispetto alla semplice palizzata di canne; i tetti però sono sempre in lamiera e non oso pensare cosa diventi l'interno sotto il sole estivo - l'emisfero è quello sud, qui in agosto è inverno, è meno caldo ed è più asciutto - e di giorno fa molto caldo già così, anche se la sera è fresco. Alcuni bambini che si occupano di vendere frutta e verdura su piccole bancarelle (Come funziona questo mercato? Tutti vendono le stesse cose, chi le compra??) si mostrano un po' meno diffidenti e sufficientemente curiosi da rispondere al saluto della suora cogliendo l'occasione di studiarci un po' più da vicino prima che ce ne andiamo. Dato che dopotutto non abbiamo mangiato i primi due, nel giro di un momento si stanno chiamando e ne arriva una frotta; curiosi e vivaci, bambini insomma.
Capiscono rapidamente che abbiamo in mano macchinette fotografiche e si divertono come matti a farsi fotografare e poi guardarsi nello schermino. Il mio è minuscolo, la mia macchinetta è proprio una cosa cheap, ho cercato qualcosa che non mi svenasse e che usasse le pile stilo perchè mi avevano avvertito che l'umidità locale avrebbe scaricato le batterie con rapidità impressionante; vero, le mie ricaricabili non tenevano nulla, non ho mai capito però se le batterie che compravamo in loco fossero già scariche al momento dell'acquisto......... Giochiamo al gioco del "Guarda come sono fotogenico" e collezioniamo, nel cuore molto più che nelle immagini, dei sorrisi meravigliosi. Quasi tutti, anche oggi, hanno lineamenti bellissimi. Ecco, adesso ci sentiamo di nuovo bene: siamo persone che, senza essersi mai viste prima e senza avere nemmeno la lingua in comune, al di là delle riconoscibilissime differenze reciproche, scoprono una salda base comune più che sufficiente per passare un po' di tempo insieme: un sorriso è un sorriso, un gioco è un gioco, la curiosità è umana e la voglia di ficcare il naso più forte della fifa.
Non so i nomi di questi bambini, che oggi spero siano tutti ragazzi, ma sono loro grata per avermi regalato un momento di comunicazione semplice e diretta. Li ricordo e auguro loro tutto il bene possibile. Chissà se loro si ricordano delle "giapponesi" che sono passate come meteore quel pomeriggio... se sì, ci avranno prese per turiste e basta? E pensare che noi stavamo cercando di capire il mondo!
E davvero qualcosa abbiamo imparato, in quel mese.
Il rispetto, per iniziare.
Stavamo sperimentando quella che sarebbe stata la costante del viaggio: vedi l'orribile (è un uomo? è un bambino? perchè permettiamo questo?) e vedi il meraviglioso (ma... sono molto più felici dei bambini che conosco io! sono molto più serene e forti di me!).
Vuoi risparmiarti l'orribile? Spesso perdi anche il meraviglioso.
L'orribile va affrontato e risollevato, ma ricordando che in quella
stessa persona con cui combatti l'orribile - la malattia, la fame, la
disoccupazione, l'ignoranza, la violenza, l'abbandono, la povertà
estrema - c'è anche il meraviglioso: la capacità di sorridere e di
resistere come tu non sai. Molta più forza di quella che pensavi ci fosse in chiunque. Rispetto, quindi, tanto per iniziare. Guai a chi guarda le foto e mi dice "poverini": io mi rivedo davanti a loro e non avrei mai osato dir loro "poverini". Togliti le scarpe perchè il suolo che calpesti è sacro, "giapponese", e sii felice per quello che oggi ti è stato regalato. Sono molto più in gamba di me, questi poverini; cerchiamo piuttosto di smettere di impigrirci o disperarci e di fare anche noi la nostra parte: perchè se è possibile resistere per loro, allora è possibile anche per noi fare quello che abbiamo paura sia impossibile! Coraggio e avanti insieme, magari giocando per strada se ce ne viene voglia.